Le interpretazioni ai fini fiscali non hanno rilievo penale.

Le interpretazioni ai fini fiscali non hanno rilievo penale. La sentenza del Tribunale di Brindisi.   Con un’importante sentenza, n. 2216 del 22/11/2017, il Tribunale di Brindisi ha assolto due imprenditori dai reati di cui agli articoli 4 e 5 del D. Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 perché il fatto non costituisce reato. Come noto, l’art. 4 D. Lgs. n. 74/2000, rubricato “Dichiarazione infedele”, punisce chi al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica...

Le interpretazioni ai fini fiscali non hanno rilievo penale. La sentenza del Tribunale di Brindisi.   Con un’importante sentenza, n. 2216 del 22/11/2017, il Tribunale di Brindisi ha assolto due imprenditori dai reati di cui agli articoli 4 e 5 del D. Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 perché il fatto non costituisce reato. Come noto, l’art. 4 D. Lgs. n. 74/2000, rubricato “Dichiarazione infedele”, punisce chi al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi inesistenti, quando, congiuntamente: a)         l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro centocinquantamila; b)         l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi inesistenti, è superiore al dieci per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a euro tre milioni. L’art. 5 del D. Lgs. n. 74/2000, invece, rubricato “Omessa dichiarazione”, punisce chi al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte ad euro cinquantamila. In particolare, nel caso di specie, i due imprenditori venivano imputati per avere, in unione e concorso tra loro, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, entrambi nella qualità di responsabili legali della società: -           omesso di indicare nella dichiarazione dei redditi mod. unico 2010 per l’anno d’imposta 2009, maggiori componenti positivi di reddito per un importo pari ad un milione e mezzo di euro; -           omesso di presentare la dichiarazione annuale Iva, relativa all’anno d’imposta 2009, omettendo di dichiarare ai fini Iva un importo a debito per oltre centomila euro. Ebbene, il Tribunale di Brindisi ha accolto le tesi difensive degli Avvocati Maurizio Villani e Giampiero Iaia, soprattutto in riferimento alla non rilevanza penale delle interpretazioni fiscali in assenza di un dolo di evasione da parte degli imprenditori contribuenti. Ed infatti, il giudice penale, a seguito dell’istruttoria dibattimentale e delle argomentazioni poste a base delle tesi difensive a discarico degli imputati, ha ritenuto di escludere la sussistenza di una responsabilità penale derivante “in maniera immediata e diretta dalle mere scelte interpretative adottate dal contribuente in ordine al metodo di contabilizzazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, ovvero, comunque, da scelte interpretative in ordine a norme tributarie del tipo di quelle in oggetto (contraddistinte da percettibili condizioni di incertezza sulla loro portata e sul loro ambito di applicazione); scelte idonee eventualmente ad integrare irregolarità di natura strettamente fiscale, ma non a consentire in particolare di ritenere integrato il reato di dichiarazione infedele, ovvero di omessa dichiarazione IVA, di cui rispettivamente agli artt. 4 e 5 decreto legislativo 74/2000”. A ciò si aggiunga che, è stato messo in evidenza dal giudice - come dalla stessa difesa sostenuto - evidenzia Giovanni D'Agata, presidente dello “”, la rilevanza di quanto previsto dal comma 1-bis dell’art. 4 D. Lgs. n. 74/2000 che stabilisce  che, ai fini della configurabilità del delitto di dichiarazione infedele, non si debba tenere conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati in bilancio o in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell’esercizio di competenza, della non inerenza di elementi passivi reali, della non deducibilità di elementi passivi reali.  Infine, è stato altresì ritenuto applicabile l’art. 15 del D. Lgs. n. 74/2000 che, come noto, evidenziano gli Avv. Maurizio Villani e Avv. Alessandra Rizzelli, prevede espressamente che le violazioni “dipendenti da interpretazione delle norme tributarie” non danno luogo a fatti punibili, nella misura in cui dipendono da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della normativa vigente. Alla luce di tanto e dei problemi interpretativi emersi durante l’istruttoria, nella quale era stato peraltro ascoltato anche un funzionario dell’Agenzia delle Entrate, il Tribunale di Brindisi ha quindi correttamente ritenuto non sussistente il dolo di evasione in capo agli imputati, in considerazione della operatività della esimente di cui agli artt. 4, comma 1 bis, e 15 del D. Lgs. 74/2000, da ricondursi alla categoria delle cosiddette “scusanti”, rientrante in quelle situazioni che incidono sull’elemento soggettivo, facendo venir meno la colpevolezza. Lecce, 29 novembre 2017                                                                                                                                                                                              Giovanni D’AGATA