Internet è la nuova droga mortale

Il 14enne morto a Milano è solo la punta di un grandissimo iceberg sul quale stiamo rischiando di andare a sbattere, sottovalutando tutti i segnali di allarme che ci circondano


Se ne parlerà per qualche giorno, come in altri casi tipo il  Blue Whale, o le sfide sui binari del treno, quando muore qualche adolescente, poi tutto verrà dimenticato fino al prossimo cadavere.  
"Non è suicidio, lui vittima di 'blackout', gioco suicida in Rete" ha dichiarato il padre del ragazzo che è stato trovato senza vita in casa, soffocato da una corda da roccia.
La Procura di Milano ha deciso di bloccare 15 (?)tutorial su YouTube tra cui quel video su “cinque sfide pericolosissime”, contenente il cosiddetto “blackout”, guardato dal 14enne Igor Maj poco prima di impiccarsi nella sua camera il 6 settembre.
Il risultato è quello di impedirne la visione almeno ai minori, anche se non sarà difficile per i giovanissimi “nativi digitali” superare questo piccolissimo ostacolo.
Nell’immaginario collettivo la dipendenza è strettamente collegata alla siringa, o alla riga di coca sniffata con una banconota arrotolata e tutti noi sottovalutiamo le dipendenze da alcool o da nicotina di gran lunga più omologate, ma non meno assassine.
Tra le dipendenze tradizionali quella che produce più cadaveri è il fumo di tabacco che causa il 15% dei decessi registrati ogni anno, pari a 70 mila morti, seguito dall’ipertensione e al terzo posto l’alcool che è la causa di oltre 200 diverse malattie e incidenti che provocano ogni anno numerosi morti e feriti ed è considerato il terzo fattore di rischio di malattia e morte prematura.
Le “sostanze” (eroina, cocaina, cannabis etc.) sono nelle mani della criminalità e nel corso dei primi otto mesi del 2018 in Italia sono morte per overdose 167 persone (138 uomini e 29 donne) di un’età media di 38 anni e in 106 casi la colpa è dell’eroina, nel 2014 il totale è stato 195.
 
Le due dipendenze che producono il maggior numero di cadaveri (fumo ed alcol) sono invece controllate o distribuite dallo stato con margini di guadagno che arrivano al 71,1% (accisa 59,1+iva 22%) sulle sigarette.
Ma anche nelle nuove dipendenze lo stato ci mette mano, specialmente nel settore gioco in cui il prelievo dello stato è di circa 8,5 miliardi di euro.
È quindi molto difficile per lo stato rinunciare all’enorme quantità di denaro raccolto con le dipendenze vecchie e nuove anche se qualche ingenuo tentativo sembra venire dal Decreto Dignità che prevede il totale divieto di pubblicità al gioco d’azzardo.

È anche altrettanto difficile far passare il concetto che la rete è come un kalašnikov con il caricatore inserito che nessuno, salve che nello Stato Islamico, metterebbe mai nelle mani di un bambino e che anche nelle mani di un adulto poco strutturato potrebbe provocare danni gravissimi.
D’altra parte, la rete è una cosa nuovissima, la sua nascita risale al 6 agosto del 1991 e si è sviluppata tra il 2000 e il 2010 per arrivare all’immenso e all’eterno dei nostri giorni.
Google nasce il 4 settembre 1998, Facebook il 4 febbraio 2004, YouTube il 14 febbraio 2005 e Twitter il 21 marzo 2006, tutta la rete e tutto ciò che la rete contiene è diventato fruibile a tutti nel corso dell’ultima quindicina d’anni, quindi è troppo presto per tirare conclusioni o dare giudizi.
Ma non è mai troppo tardi per usare il buon senso e, se è vero che noi singolarmente nulla possiamo fare per affrontare e sconfiggere le dipendenze da sostanze, alcol, fumo e gioco d’azzardo di cui deve occuparsi lo stato pesando i costi (sanitari e sociali) e i ricavi (fiscali), molto possiamo fare nella cura dei figli.
La rete entra nelle nostre case, nelle tasche e nelle stanze dei bambini ed è li che bisogna intervenire: non ci possiamo permettere di lasciare in mano ai figli gli AK-47 senza curarsi di che uso ne facciano.
La rete sia per i bimbi che per i nonni va assunta in piccole dosi controllate e coscienti, con molta cautela e senza sottovalutare i pericoli dell’ignoto popolato da orde di malintenzionati e di folli.
È pura incoscienza abbandonare i ragazzi nell’oceano confinato della rete senza accompagnarli per mano, metterli in guardia contro i pericoli, dotarli di mezzi di salvataggio.
Poi se accade l’imponderabile si piangerà, ma sapendo di averci almeno provato in tutti i modi a difenderli, anche usando a malincuore vocaboli desueti come il “no!”.