SE Il NUOVO CATECHISMO LO SCRIVE LA LOBBY GAY
Beninteso, siamo tutti peccatori. Lo siamo noi laici e lo sono anche i sacerdoti, tanto è vero che il Sacramento della Riconciliazione è stato istituito per la nostra e per la loro salvezza. Il sacerdote in stato di peccato, anche mortale, non smarrisce per questo la facoltà di somministrare i sacramenti, la cui efficacia è “ex opere operato” e non “ex opere operantis”, cioè non dipende dalla santità del ministro (Catechismo della Chiesa Cattolica 1127 – 1128).
Non ci siamo mai scandalizzati troppo, pertanto, di fronte alle varie notizie di cronaca indugianti su scandali sessuali i quali coinvolgevano questo o quel prete. Di più: siamo convinti che molti di questi scandali vengano enfatizzati ad arte per gettare fango sull’intero ordine. Di più ancora: i sacerdoti incontrati nella nostra vita erano tutte persone dalla vita proba.
Però la questione della cosiddetta lobby gay nella Chiesa, ricollocata sotto i riflettori dal documento di monsignor Viganò pubblicato ieri su “La Verità”, in cui il presule arriva ad invitare alle dimissioni Papa Francesco per aver “coperto” il cardinale americano Mc Carrick dedito a rapporti coi seminaristi, presenta dei profili per cui non si può, e neppure si deve, fare a meno di porsi degli interrogativi.
Una prima questione è la seguente: se è vero che la presenza di preti omosessuali nella Chiesa è così numerosa, ramificata e compatta come si evince dalla lettura del documento, non si deve ragionevolmente ipotizzare un difetto di origine, per chiamarlo così, nei seminari? Alcuni anni fa Papa Benedetto aveva approvato la raccomandazione la di non ammettervi persone con “radicate tendenze omosessuali” o sostenitrici “della cosiddetta cultura gay”. È lecito domandarsi se essa sia stata accolta, tanto più che Papa Ratzinger ha dato sovente l’impressione di essere simile a un capitano alla testa di un esercito a volte riottoso, e in taluni reparti addirittura infido o disubbidiente. Il subentrante Pontefice, che gode di un maggiore appeal, si è mosso sostanzialmente sulla stessa linea, ma a dar retta al documento di monsignor Viganò i risultati sono stati i medesimi del Papa tedesco, cioè scarsi.
Ma l’autentico punctum dolens, l’aspetto veramente allarmante della questione, è a nostro avviso un altro. Se questa lobby gay sussiste, e se è davvero numerosa ramificata e compatta come appare dal documento pubblicato su “La Verità”, è assai improbabile che essa si accontenti di collocare i propri membri nei luoghi del potere ecclesiastico, insomma di garantirne la carriera e difenderli dagli attacchi. È invece verosimile che essa cerchi di manipolare la Dottrina in direzione dei propri interessi. Che insomma cerchi di delineare dei margini di “discernimento” (oggi vera parola-passpartout) e di tolleranza tali da sostanzialmente sdoganare quello che illo tempore era il “peccato abominevole davanti a Dio”.
Tutto quello che possiamo osservare, in proposito, è che segnali in questo senso ci sono. Fra gli altri non si possono non citare le posizioni del gesuita James Martin, aperto sostenitore del mondo LGBT e incomprensibilmente autorizzato da Papa Francesco quale relatore all’Incontro Mondiale delle Famiglie appena celebrato. È solo un esempio tra i tanti possibili, e ci esentiamo dal proporne altri. Il pericolo, dunque, non è tanto che qualche sacerdote ceda alla tentazione “oggettivamente disordinata”, ma che si ufficializzi il messaggio che la pratica dell’omosessualità è cosa possibile, accettabile, perfino buona. La Chiesa può ammettere il peccato nel mondo come dentro di sé, ma deve saperlo chiamare con il suo nome.
Alfonso Indelicato
Consigliere comunale eletto a Saronno