Interpellanza al Ministro per Mario Mantovani

Intendimenti del Ministro della giustizia circa l’attivazione dei poteri ispettivi in relazione all’applicazione della misura della custodia cautelare all’ex assessore e vice presidente della regione Lombardia, Mario Mantovani, e iniziative per circoscrivere l’ambito dell’istituto a situazioni di effettivo inquinamento probatorio o di estrema pericolosità – 2-01147 I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che: la carcerazione preventiva è una ...

Intendimenti del Ministro della giustizia circa l’attivazione dei poteri ispettivi in relazione all’applicazione della misura della custodia cautelare all’ex assessore e vice presidente della regione Lombardia, Mario Mantovani, e iniziative per circoscrivere l’ambito dell’istituto a situazioni di effettivo inquinamento probatorio o di estrema pericolosità – 2-01147 I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che: la carcerazione preventiva è una delle misure cautelari previste dal nostro ordinamento come garanzia per il funzionamento della giustizia; la sua applicazione permette il regolare svolgimento del processo, proteggendolo da pericoli provenienti dall’indagato. Per espressa previsione del codice di procedura penale, il ricorso allo strumento della custodia cautelare è da considerarsi extrema ratio, azionabile soltanto laddove ogni altra misura appaia inadeguata. Inteso in questo modo è sicuramente un aiuto efficace e, in molti casi, indispensabile per poter assicurare i colpevoli alla giustizia; troppo spesso, però, si ricorre alla carcerazione preventiva in mancanza di reali esigenze cautelari e senza rispettare il criterio dell’assoluta indispensabilità. Come risultato di questa tendenza, le carceri italiane sono stracolme di detenuti in attesa di una condanna definitiva (circa il 35 per cento del totale) e ciò è sbagliato sostanzialmente per due motivi: in primo luogo perché si dimenticano spesso misure alternative e più lievi della custodia cautelare in carcere, che alleggerirebbero l’onere gravante sugli istituti penitenziari; poi, soprattutto, perché la misura dovrebbe essere applicata in istituti appositi, in cui i soggetti sottoposti a custodia cautelare fossero ristretti separatamente dagli altri detenuti. Questo, per problemi di spazio, molto spesso non accade; emerge, dunque, una stretta connessione tra il sovraffollamento degli istituti di detenzione e un ricorso con ogni probabilità smodato allo strumento della custodia cautelare in carcere, la cui funzione, purtroppo, ha subìto negli anni una radicale trasformazione: da istituto con funzione prettamente cautelare, ancorché nell’ottica di un’esigenza di prevenzione dei reati e di tutela da forme di pericolosità sociale, è diventata troppo spesso una vera e propria misura anticipatrice della pena, con evidente violazione del principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza; da ultimo, il legislatore, con l’approvazione della legge 16 aprile 2015, n. 47, ha ulteriormente delimitato l’ambito di applicazione della custodia cautelare in carcere, circoscrivendo i presupposti per l’applicazione della misura e modificando il procedimento per la sua impugnazione. A tal fine, è stato introdotto il requisito dell’attualità – e non solo della concretezza – del pericolo di fuga e del pericolo di reiterazione del reato, ed è stato escluso che attualità e concretezza del pericolo possano essere desunti esclusivamente dalla gravità del reato per cui si procede; nella sostanza, quindi, si conferma il carattere residuale del ricorso al carcere: tale misura può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, risultino inadeguate. Quanto all’applicazione della custodia in carcere per alcuni reati di particolare gravità, la presunzione di idoneità della custodia in carcere continua a operare solamente con riguardo alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza per i delitti di associazione sovversiva (articolo 270 del codice penale), associazione terroristica, anche internazionale (articolo 270-bis del codice penale) e associazione mafiosa (articolo 416-bis del codice penale). Per altri reati gravi – tassativamente individuati – tra cui i reati di omicidio, induzione alla prostituzione minorile, pornografia minorile, turismo sessuale, violenza sessuale – è possibile applicare la custodia in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possano essere soddisfatte con altre misure; con le ultime disposizioni approvate, il legislatore ha dunque mirato fondamentalmente a circoscrivere l’utilizzo della custodia cautelare in carcere, e, quindi, della limitazione preventiva della libertà personale, alle sole ipotesi in cui questa esigenza è davvero indispensabile per garantire la sicurezza della collettività, per salvaguardare il valore delle indagini e soprattutto per assicurare quel contemperamento, che più volte è stato evocato, ma non sempre con misura e con fondatezza, tra tutela della libertà personale ed esigenze di protezione della sicurezza collettiva delle comunità e dei territori italiani; alla luce di quanto esposto, è necessario fare chiarezza, a parere degli interpellanti, in ordine all’utilizzo della carcerazione preventiva da parte del tribunale di Milano, che il 13 ottobre 2015 ha ordinato l’arresto del vice presidente della regione Lombardia, Mario Mantovani, con le accuse di concussione, corruzione aggravata e turbata libertà degli incanti in un’inchiesta della Guardia di finanza e della procura di Milano. Sono stati posti in custodia cautelare in carcere anche Giacomo Di Capua, « in qualità di stretto collaboratore di Mario Mantovani e dipendente della regione Lombardia » per le accuse di concorso in concussione, corruzione aggravata e turbata libertà degli incanti, e Angelo Bianchi « in qualità di ingegnere del Provveditorato Interregionale alle Opere Pubbliche per la Lombardia e la Liguria » per concorso in concussione « rivestendo il ruolo di R.U.P di gare aventi quale Stazione Appaltante il citato Provveditorato » ed « indagato » anche per corruzione aggravata e turbata libertà degli incanti; altre dodici persone sono indagate; i reati contestati nell’indagine sarebbero stati commessi tra il 6 giugno 2012 e il 30 giugno 2014; soprattutto mette conto rilevare come la richiesta di applicazione dell’ordinanza cautelare, depositata dal pubblico ministero il giorno 17 settembre 2014, sia stata emessa da giudice per le indagini preliminari solamente tredici mesi dopo, ovvero il 12 ottobre 2015; un arresto preventivo, dunque, motivato da esigenze cautelari « attuali » (come prescrive la citata legge n. 67 del 2015) viene eseguito a tredici mesi di distanza dalla richiesta del pubblico ministero, determinando, a giudizio degli interpellanti, fondati elementi di dubbio in ordine alla sussistenza del requisito di urgenza del provvedimento emesso solamente il 12 ottobre 2015: l’« urgenza » infatti presuppone tempi ragionevoli di decisione e non un’attesa di oltre un anno dalla richiesta dell’accusa; non solo: detta grave anomalia, insita nella tardività delle decisione in merito all’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare, si connota di ulteriori criticità rispetto ai principi di civiltà giuridica sanciti nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ai quali più volte la Corte europea dei diritti dell’uomo ha purtroppo richiamato l’Italia contestandone l’inosservanza; ci si riferisce al fatto che anzitutto il noto principio del termine ragionevole entro il quale si devono trattare gli affari penali dei tribunali europei, risulta, secondo gli interpellanti, già sin da ora clamorosamente violato, laddove a distanza di oltre un anno dalla richiesta dalla misura cautelare, e di oltre tre anni dall’inizio del procedimento penale in questione (il procedimento risulta rubricato al registro notizie di reato all’anno 2013), ancora si discute se applicare o meno la misura cautelare della custodia in carcere; il giudice per le indagini preliminari ha poi respinto l’istanza di scarcerazione per Mario Mantovani, rilevando che « resta comunque un influente politico a livello nazionale » e come tale « detiene relazioni personali, sociali, imprenditoriali e politiche »: da qui il pericolo di reiterazione del reato. La decisione non argomenta quella che è stata l’obiezione più forte della difesa, che ha sollevato la questione della « abnormità » dell’ordinanza d’arresto, dato che, come detto, la richiesta di custodia cautelare era stata depositata al giudice per le indagini preliminari ben tredici mesi prima dell’arresto. « Oltre all’assenza delle esigenze cautelari per la tardività della misura – aveva chiarito la difesa – “c’è anche un problema più grave di abnormità dell’atto” »; si è quindi di fronte ad un caso di applicazione della custodia cautelare in carcere, che, a parere degli interpellanti, non può che sollevare più di un dubbio in merito all’idoneità della misura come extrema ratio, coerente con i nuovi parametri prescritti dal legislatore solo qualche mese fa, con la chiara intenzione di rafforzare il carattere residuale del ricorso al carcere, per evitare che la stessa custodia cautelare si trasformi in una vera e propria misura anticipatrice della pena, con evidente violazione del principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza –: di quali elementi disponga il Ministro interpellato sulla vicenda riportata in premessa, nell’ambito delle proprie competenze; se il Ministro interpellato ritenga di dover disporre opportune iniziative di competenza e di valutare la possibilità di attivare il proprio potere ispettivo al fine di verificare, nel caso esposto in premessa, la sussistenza dei presupposti per l’esercizio dell’azione disciplinare; se il Ministro interpellato intenda assumere le iniziative di competenza per restituire alla custodia cautelare la sua funzione di rimedio eccezionale da adottare in situazioni di effettivo inquinamento probatorio o di estrema pericolosità, ed evitare così che l’uso distorto della misura della custodia cautelare si ponga in evidente contrasto con il principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza. (2-01147) « Brunetta, Squeri, Gelmini, Centemero, Garnero Santanchè, Palmieri, Romele, Vito ». ------- PRESIDENTE. Passiamo all’interpellanza urgente Brunetta ed altri n. 2-01147, concernente intendimenti del Ministro della giustizia circa l’attivazione di poteri ispettivi in relazione all’applicazione della misura della custodia cautelare all’ex assessore e vicepresidente della regione Lombardia, Mario Mantovani, e iniziative per circoscrivere l’ambito dell’istituto a situazioni di effettivo inquinamento probatorio o di estrema pericolosità. L’onorevole Squeri ha facoltà di illustrare l’interpellanza urgente di cui è cofirmatario. LUCA SQUERI. Grazie, Presidente. La carcerazione preventiva è una delle misure cautelari previste dal nostro ordinamento come garanzia per il funzionamento della giustizia. La sua applicazione permette il regolare svolgimento del processo, proteggendolo da pericoli provenienti dall’indagato. Per espressa previsione del codice di procedura penale, il ricorso allo strumento della custodia cautelare è da considerarsi come extrema ratio, azionabile soltanto laddove ogni altra misura appaia inadeguata. Inteso in questo modo, è sicuramente un aiuto efficace e, in molti casi, indispensabile per poter assicurare i colpevoli alla giustizia. Troppo spesso, però – troppo spesso ! – si ricorre alla carcerazione preventiva in mancanza di reali esigenze cautelari e senza rispettare il criterio dell’assoluta indispensabilità. Come risultato di questa tendenza, le nostre carceri sono stracolme di detenuti (sono il 35 per cento in attesa di una condanna), e ciò è sbagliato sostanzialmente per due motivi: in primo luogo, perché si dimenticano spesso misure alternative e più lievi rispetto alla custodia cautelare in carcere, e poi, soprattutto, perché la misura dovrebbe essere applicata in istituti appositi, in cui i soggetti sottoposti a custodia cautelare fossero ristretti separatamente dagli altri detenuti. Questo, ovviamente per problemi di spazio, quasi mai avviene. Emerge, dunque, una stretta connessione tra il sovraffollamento degli istituti di detenzione e un ricorso con ogni probabilità smodato allo strumento della custodia cautelare in carcere, la cui funzione, purtroppo, ha subìto negli anni una radicale trasformazione: da istituto con funzione prettamente cautelare, ancorché nell’ottica di un’esigenza di prevenzione dei reati e di tutela da forme di pericolosità sociale, è diventata troppo spesso una vera e propria misura anticipatrice della pena, con evidente violazione del principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza. Da ultimo, il legislatore, il Parlamento, con l’approvazione della legge 16 aprile 2015, n. 47, ha ulteriormente delimitato l’ambito di applicazione della custodia cautelare in carcere, circoscrivendo i presupposti per l’applicazione della misura e modificando il procedimento per la sua impugnazione. A tal fine, è stato introdotto il requisito dell’attualità e non solo della concretezza del pericolo di fuga e del pericolo di reiterazione del reato, ed è stato escluso che attualità e concretezza del pericolo possano essere desunti esclusivamente dalla gravità del reato per cui si procede. Nella sostanza, quindi, si conferma il carattere residuale del ricorso al carcere: tale misura può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive risultino inadeguate. Quanto all’applicazione della custodia in carcere per alcuni reati di particolare gravità, la presunzione di idoneità della custodia in carcere continua a operare solamente con riguardo alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza per i delitti di associazione sovversiva, associazione terroristica, anche internazionale, e associazione mafiosa. Per altri reati gravi, tassativamente individuati, tra cui i reati di omicidio, induzione alla prostituzione minorile, pornografia minorile, turismo sessuale e violenza sessuale è possibile applicare la custodia in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari. Con le ultime disposizioni approvate, il legislatore ha dunque mirato fondamentalmente a circoscrivere l’utilizzo della custodia cautelare in carcere e, quindi, della limitazione preventiva della libertà personale alle sole ipotesi in cui questa esigenza è davvero indispensabile per garantire la sicurezza della collettività e per salvaguardare il valore delle indagini e soprattutto per assicurare quel contemperamento, che più volte è stato evocato, ma non sempre con misura e con fondatezza, tra tutela della libertà personale ed esigenze di protezione della sicurezza collettiva delle nostre comunità e dei nostri territori. Alla luce di quanto esposto, è necessario fare chiarezza, a parere degli interpellanti, in ordine all’utilizzo della carcerazione preventiva da parte del tribunale di Milano, che lo scorso 13 ottobre 2015 ha ordinato l’arresto del vicepresidente della regione Lombardia, senatore Mario Mantovani, con le accuse di concussione, corruzione aggravata e turbata libertà degli incanti in un’inchiesta della Guardia di finanza e della procura di Milano. Sono stati posti in custodia cautelare in carcere anche Giacomo Di Capua, « in qualità di stretto collaboratore del senatore Mario Mantovani e dipendente della regione Lombardia » per le accuse di concorso nei reati addebitati al senatore Mantovani e stesso dicasi per Angelo Bianchi « in qualità di ingegnere del provveditorato interregionale alle opere pubbliche per la Lombardia e la Liguria ». I reati contestati nell’indagine sarebbero stati commessi tra il 6 giugno 2012 e il 30 giugno 2014; soprattutto mette conto rilevare come la richiesta di applicazione dell’ordinanza cautelare, depositata dal pubblico ministero il giorno 17 settembre 2014, sia stata emessa dal giudice per le indagini preliminari solamente tredici mesi dopo, ovvero il 12 ottobre 2015. Vi è un piccolo particolare da rilevare: si parla non del settembre di questo anno, ma del settembre 2014. Sono passati tredici mesi tra la richiesta e l’esecuzione ! Un arresto preventivo, dunque, motivato da esigenze cautelari « attuali » (come prescrive la citata legge n. 47 dell’aprile 2015), e viene eseguito a tredici mesi di distanza dalla richiesta del pubblico ministero, determinando, a giudizio degli interpellanti, fondati elementi di dubbio in ordine alla sussistenza del requisito di urgenza del provvedimento emesso solamente ad ottobre di quest’anno; l’« urgenza » infatti presuppone tempi ragionevoli di decisione e non un’attesa di oltre un anno dalla richiesta dell’accusa. Non solo: detta grave anomalia, insita nella tardività delle decisione in merito all’emissione dell’ordinanza di custodia cautelare, si connota di ulteriori criticità rispetto ai principi di civiltà giuridica sanciti nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ai quali più volte la Corte europea dei diritti dell’uomo ha purtroppo richiamato l’Italia contestandone l’inosservanza. Ci si riferisce al fatto che anzitutto il noto principio del termine ragionevole entro il quale si devono trattare gli affari penali dei tribunali europei, risulta, già sin da ora clamorosamente violato, laddove a distanza di oltre un anno dalla richiesta dalla misura cautelare, e di oltre tre anni dall’inizio del procedimento penale in questione, ancora si discute se applicare o meno la misura cautelare della custodia in carcere. Il giudice per le indagini preliminari ha poi respinto l’istanza di scarcerazione per il senatore Mantovani, rilevando che « resta comunque un influente politico a livello nazionale » e come tale « detiene relazioni personali, sociali, imprenditoriali e politiche ». Siamo al paradosso che la funzione stessa di chi ha incarichi politici diventa motivazione dell’esigenza di restrizione della libertà. Così, per logica fattuale, ogni politico è momentaneamente a piede libero; è una condizione incredibile e drammatica del nostro sistema istituzionale, perché se è vero che l’uso eccessivo della custodia cautelare è una aberrazione per tutti i cittadini, l’abuso della stessa per chi ha un ruolo politico, cioè votato dai cittadini, altera la democrazia. Tra l’altro, poi la decisione non argomenta invece quella che è stata l’obiezione più forte della difesa, che ha sollevato la questione della « abnormità » dell’ordinanza d’arresto, dato che, come ho detto, la richiesta di custodia cautelare era stata depositata al giudice per le indagini preliminari ben tredici mesi prima dell’arresto. Siamo quindi di fronte ad un caso di applicazione della custodia cautelare in carcere, che, a parere degli interpellanti, non può che sollevare più di un dubbio in merito all’idoneità della misura come extrema ratio, coerente con i nuovi parametri prescritti dal legislatore, con la chiara intenzione di rafforzare il carattere residuale del ricorso al carcere, per evitare che la stessa custodia cautelare si trasformi in una vera e propria misura anticipatrice della pena, con evidente violazione del principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza. Per tutto ciò premesso, si chiede al Governo di quali elementi disponga il Ministro interpellato sulla vicenda riportata in premessa, nell’ambito delle proprie competenze; se il Ministro interpellato ritenga di dover disporre opportune iniziative di competenza e di valutare la possibilità di attivare il proprio potere ispettivo al fine di verificare, nel caso esposto in premessa, la sussistenza dei presupposti per l’esercizio dell’azione disciplinare; se il Ministro interpellato intenda assumere le iniziative di competenza per restituire alla custodia cautelare la sua funzione di rimedio eccezionale da adottare in situazioni di effettivo inquinamento probatorio o di estrema pericolosità, ed evitare così che l’uso distorto della misura della custodia cautelare si ponga in evidente contrasto con il principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia – Il Popolo della Libertà – Berlusconi Presidente).