Scuola: notarelle in margine alla prossima riforma
- /
- 01 settembre 2018
- /
- Views 40 Istituzioni Italia
Comunicato
dell’Associazione Europea Scuola e Professionalità Insegnante
Ed ecco che anche il presente
Ministro – il simpatico e garbato Marco Bussetti – non rinuncia all’idea di
passare alla storia patria e dichiara: “presenteremo anche noi la nostra
riforma”. Ed ecco che noi semplici insegnanti dovremo semplicemente subirla,
poiché nessuno ci chiederà un parere. Quest’ultimo lo fornirà, a suo tempo, il
Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, e sarà un paludato parere, pieno
di caute distinzioni, di ellissi, reticenze ed eufemismi. Del resto pochi sanno
bene questo consesso chi lo componga, quando si riunisca e cosa faccia. Forse,
neppure esiste. Lo forniranno di certo i sindacati, e sarà un parere inteso a
rafforzare il loro già tracimante potere (per quanto eroso dalla disaffezione
degli iscritti) diramato attraverso i gangli delle RSU, i rituali delle
delegazioni, le code dei patronati, gli arcani delle segreterie: niente che
abbia neppure lontanamente a che fare con il quotidiano, maledetto e bellissimo
lavoro dello stare in classe. Un parere lo daranno anche i partiti: quelli
della sinistra riprenderanno la stucchevole litania della laicità e dei fondi
alle parificate, quelli della destra non sapranno cosa riprendere non essendosi
mai seriamente occupati di scuola, e scopiazzeranno (al solito) qualche passo
del programma del PD.
Rimarrebbero le Associazioni:
hanno il know how, ma sono tradizionalmente poco loquaci. Ci permettiamo quindi
noi di AESPI (che in verità abbiamo sempre parlato) di dire la nostra, per notulas,
in modo sintetico, anzi più laconico di Leonida alle Termopili.
Ogni riforma scolastica dovrà mettere in primo piano la condizione
professionale degli insegnanti. Ecco perché tutte le riforme posteriori a
quella di Giovanni Gentile hanno fallito: perché si occupavano d’altro, di almanaccare
l’architettura dei cicli e dei percorsi, di privatizzare l’istituzione, di
introdurre metodologie didattiche fallimentari.
L’insegnante deve preparare con cura le sue lezioni, entrare in classe
e svolgerle in un contesto di rispetto, attenzione, interesse per la cultura e
per le persone. Questo e solo questo è la scuola: tutto il resto è contorno, e
deve esistere solo in funzione della fase precedente.
La scuola non è un’azienda, ma una comunità umana con una configurazione
gerarchica sui generis intesa allo sviluppo e alla diffusione della cultura e
alla promozione dell’uomo. Ogni sua riduzione alla struttura aziendale la
snatura.
Poiché la situazione disciplinare della scuola è drammatica, è
necessaria una revisione dello “Statuto delle studentesse e degli studenti”
nella direzione di una gestione ordinata
e proficua della lezione.
Il massiccio afflusso nelle classi di studenti di lingua e cultura
diversa dalla nostra non costituisce di per sé “una risorsa” come proclama
certo facile buonismo, ma produce problematiche in ordine all’effettivo
svolgimento dei programmi e alla qualità del lavoro in classe, con abbassamento
generalizzato dei livelli. È dunque necessario dilatare, per i giovani nuovi italiani,
i tempi dello studio della nostra lingua a loro dedicati, con intervento di
personale specializzato o quanto meno fortemente motivato.
È opportuno verificare che i Piani Individualizzati per le varie
disabilità vengano posti in essere per accertati motivi. Oggi talvolta lo sono,
talvolta no.
E infine:
Prima Regola Aurea: più aumentano gli oneri burocratici, più il bravo
insegnante si demoralizza e perde ogni motivazione a svolgere la sua
professione, diventa un travet.
Seconda Regola Aurea: se le prerogative del Dirigente si dilatano, in
misura proporzionale si contraggono quelle
del docente. Ne deriva che, poiché le prerogative del Dirigente sono oggi
massimamente estese, quelle del docente sono minime, con nocumento di quanto
alla prima noterella, la più importante di tutte.
Ora valuti Lei, signor Ministro …