LA GUARDIA DI FINANZA E L’INSURREZIONE DEL NORD
Alle ore 22 del 25 aprile 1945 il colonnello Alfredo Malgeri,comandante della
legione della Guardia di finanza di Milano,ricevette dal Comando Piazza del Corpo
Volontari della Libertà l’ordine, recapitatogli dal tenente Augusto de Laurentiis, pure
della Guardia di finanza,di occupare il palazzo del governo,quello della provincia,la
sede del comando militare dell’esercito repubblicano e quella dell’EIAR.
Il colonnello uscì dalla sua caserma con un reggimento di formazione di circa
cinquecento finanzieri,ed eseguì l’ordine.
Un’operazione senza contrasto,ma questo si seppe dopo. Era noto che Mussolini ed il
vertice della RSI avevano lasciato Milano dopo un inutile incontro in Arcivescovado
con i rappresentanti del CLNAI,tuttavia era tutt’altro che improbabile una resistenza
dell’ultima ora da parte di qualche nucleo fascista,che gli uomini di Malgeri
dovevano quindi essere preparati ad affrontare.
Non è tuttavia l’importanza dell’episodio in termini strettamente militari –
modesta,come per tanti altri della Resistenza – che vale la pena di ricordare.
Ed infatti le storie della Liberazione lo riportano senza enfasi,ed altrettanto accade
per la memorialistica,con le eccezioni di cui diremo.
Sia Cadorna che Pizzoni,ad esempio,ricordano anche di aver utilizzato scorte,sedi ed
automezzi della Guardia di finanza come se la cosa fosse ovvia,nessuno sembra
rilevare che il vertice politico e militare della Resistenza – Comitato di Liberazione
Nazionale per l’Alta Italia e Comando Generale del CVL – stava impartendo ordini
ad una struttura militare della Repubblica Sociale, armata,inquadrata,in uniforme e
subordinata ad una linea di comando ben definita e perfettamente funzionante .
E fotografie scattate il 29 aprile mostrano il generale Crittenberger,comandante del
IV corpo d’armata americano,appena giunto a Milano,mentre passa in rassegna un
picchetto di finanzieri,accompagnato dal colonnello Malgeri.
Nessuno sembra avere avvertito la necessità di mettere a fuoco la singolare posizione
della Guardia di finanza durante l’occupazione tedesca dell’Italia settentrionale – un
corpo armato,composto di uomini soggetti alla legge penale militare,che riuscì a
superare il periodo forse più drammatico della nostra storia nazionale riducendo al
minimo la collaborazione con l’occupante,assumendo nei confronti del regime
fascista repubblicano un atteggiamento di ostilità che nell’ultima fase della vicenda fu
palese,e collaborando in modo progressivamente più evidente con la Resistenza.
Possiamo leggere analisi ormai abbastanza esaurienti sulle vicende della Guardia
Nazionale Repubblicana – e sulla tragedia dei Carabinieri – della Polizia,delle
divisioni dell’esercito impiegate quasi esclusivamente come truppe ausiliarie per la
controguerriglia,della Marina divisa dall’esperienza della “Decima MAS” e
dell’Aeronautica che rischiò l’incorporazione nella Luftwaffe.
Può essere il caso di dedicare qualche attenzione alla Guardia di finanza,che nel
centro-nord contava nell’autunno 1943 circa quindici mila uomini,manifestò una
coesione che a distanza di sessant’anni lascia perplessi,ed al momento
dell’insurrezione fu in grado di svolgere una funzione delicata,la cui importanza
politica supera certamente la dimensione militare.
Una vicenda che a mio avviso può suggerire qualche riflessione sull’efficienza di
due elementi rilevanti nella storia della Resistenza, l’apparato dell’occupazione
tedesca ed il sistema di sicurezza della RSI.
La vicenda ha un antefatto nei giorni immediatamente precedenti l’armistizio del
settembre 1943.
Il 28 agosto il Comando Generale della Guardia di finanza dirama la circolare
897/RO,che il giorno prima il ministro delle finanze Bartolini ha fatto approvare dal
maresciallo Badoglio,con la quale si impartiscono le disposizioni circa il
comportamento da tenere nell’ eventualità che gli eventi bellici pongano i comandi
dipendenti nell’impossibilità di ricevere ordini.
I reparti mobilitati - tutti dislocati nei territori occupati - dovranno seguire le sorti
delle unità dell’Esercito cui sono aggregati ,mentre quelli in Patria dovranno
rimanere ai loro posti e continuare a svolgere i compiti d’istituto,anche se verranno a
trovarsi a contatto con il nemico,come prevedono le norme della legge di guerra
che,recependo quelle delle convenzioni internazionali,consentono alla potenza
occupante di avvalersi dei funzionari del Paese occupato,nell’interesse della
popolazione civile.
Esiste al riguardo un precedente,quello dei territori dell’Africa Orientale,dove
l’amministrazione militare britannica ha continuato ad avvalersi dei magistrati,dei
funzionari amministrativi e delle forze di polizia italiani. In Eritrea,ad esempio,presta
servizio un contingente di quasi trecento finanzieri,oltre ad un gruppo di Carabinieri e
ad uno della PAI.
La circolare ha l’effetto di assicurare la compattezza della struttura nel territorio
metropolitano, mentre l’apparato militare si disgrega e viene soprafatto. Dopo
pochi giorni di incertezza,durante i quali avvengono episodi di resistenza,i comandi
tedeschi riconoscono ai carabinieri ed ai finanzieri lo status di appartenenti alle forze
di polizia, e consentono loro di conservare armi ed uniformi e di continuare ad
assolvere i loro compiti.
Le disposizioni della circolare 897/R0 vengono ribadite il 15 settembre da un
Comando Generale ancora pienamente funzionante a Roma,e sembra si possa dire
che in una prima fase,più o meno fino alla fine di ottobre ’43,la posizione degli
appartenenti alle due forze di polizia ad ordinamento militare – i Carabinieri hanno
ricevuto disposizioni analoghe - sia quella,giuridicamente definita, di agenti in
servizio in territorio occupato dal nemico.
Anche il governo della RSI,costituito il 23 settembre,pare preferisca rinviare le
decisioni. Il decreto del 27 ottobre,con il quale vengono sciolte le forze armate regie
ed istituite quelle repubblicane, si limita a stabilire,all’art.5, che Carabinieri e Guardia
di finanza “restano in servizio per il mantenimento dell’ordine pubblico”.
Il decreto,come sappiamo,è in realtà l’atto apparentemente conclusivo di un conflitto
che ha diviso il vertice fascista fin dai primi giorni di Monaco,intorno all’assetto da
dare alle forze armate ed al sistema di sicurezza del nuovo stato. Sembra prevalere in
un primo tempo la tesi di Renato Ricci – la Milizia unica forza armata,volontaria e
fortemente politicizzata,sul modello delle SS naziste – ma è poi l’orientamento
tradizionalista di Graziani a prevalere,e la RSI avrà un esercito apolitico, a
reclutamento misto,con una grossa intelaiatura territoriale ed una componente
operativa che dovrebbe essere di massa.anche se poi . i tedeschi non consentiranno di
formare più di quattro divisioni.
Ricci non si dà per vinto,e l’8 dicembre 1943 un nuovo decreto del duce istituisce la
“Guardia Nazionale Repubblicana” – della quale lo stesso Ricci sarà comandante
generale,con rango di ministro – che dovrà assorbire nella vecchia struttura della
Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale l’Arma dei Carabinieri ed il Corpo di
Polizia dell’Africa Italiana.
In questo modo il vertice fascista riterrà di aver assicurato la sopravvivenza e la
preminenza della “guardia armata della rivoluzione”,di aver incapsulato in essa i
Carabinieri politicamente insicuri,e di aver realizzato l’unificazione delle forze di
polizia coniugando la saldezza e la capillarità dell’organizzazione dell’Arma con
l’affidabilità ideologica della Milizia.
Quest’ultimo obiettivo (in realtà neppure gli altri,come vedremo) non fu
conseguito,perché il potente ministro dell’interno Buffarini Guidi non sarà affatto
disposto a privarsi della sua “Polizia Repubblicana” – che sarà anzi potenziata con
battaglioni mobili ,unità di “arditi di polizia” addestrate per la controguerriglia,ed i
famigerati “reparti speciali” di Koch,Carità,Finizio – né sarà possibile eliminare del
tutto le numerose squadre di polizia politica costituite nell’ambito di federazioni
provinciali del partito fascista.
Non deve quindi destare meraviglia la circostanza che anche la Guardia di finanza
sia riuscita a preservare la propria autonomia,facendo appello al “carattere
puramente d’istituto” della sua attività “nelle presenti circostanze”,come affermò il
ministro delle Finanze Domenico Pellegrini Giampietro per motivare
l’allontanamento del comandante generale Aldo Aymonino, dell’Esercito, e la sua
sostituzione con un ufficiale del Corpo.
L’avvicendamento diede origine ad una crisi di vertice che dà un’idea del clima di
quei giorni.
Il comandante in 2^ della Guardia di finanza,generale di divisione Francesco Poli,
rifiutò di assumere la carica e fu cancellato dal ruolo.Il più anziano dei generali di
brigata,Arturo Cerrato, accettò,ma i colleghi che lo seguivano in ordine di
anzianità,Vinay e Conti, preferirono la cancellazione dal ruolo alla nomina a
comandante in 2^,che passò così a Giovanni Bagordo,comandante della zona di
Trieste.
Seguì un periodo di estrema incertezza,che si protrasse dalla fine del’43 al giugno
successivo,mese che può essere considerato come il “punto di svolta” della guerra
civile,apertosi con la liberazione di Roma e contrassegnato da una serie di
avvenimenti destinati a marcare il progressivo inasprimento del conflitto: scadenza
del “bando Graziani” ed ingrossamento delle formazioni partigiane per l’afflusso dei
renitenti alla leva;emanazione delle direttive del maresciallo Kesselring per la
repressione della guerriglia,militarizzazione del partito fascista repubblicano con la
costituzione delle “brigate nere”. Nello stesso tempo,diveniva evidente il fallimento
dell’esperienza della GNR,che in agosto verrà inquadrata nell’esercito e privata delle
attribuzioni di polizia giudiziaria,mentre gran parte dei provenienti dai Carabinieri
sarà deportata in Germania per essere incorporata nell’artiglieria contraerea.
La costituzione della RSI fece venir meno la condizione che accordava ai finanzieri
la protezione della legge di guerra, e li costrinse a scegliere tra lo scioglimento del
Corpo (e per la maggior parte degli individui,l’incorporazione nelle forze armate
repubblicane o la deportazione) ed il compimento di atti formali di adesione
(prestazione del giuramento,cambio della denominazione in “Guardia Repubblicana
di Finanza”,sostituzione delle “stellette” con il gladio repubblicano),che crearono
problemi di coscienza,ma furono dai più ritenuti giustificati dallo stato di necessità.
A Roma,dove il delegato del PFR per la capitale,Pizzirani, sollecitò l’intervento del
ministro perché si era sparsa la voce che la Guardia di finanza fosse stata esentata dal
giuramento,e gli ufficiali se ne vantavano, il generale Crimi chiese l’autorizzazione
del comando militare clandestino ,che la concesse per mettere il Corpo in condizioni
di “meglio assolvere i suoi compiti operativi sul fronte della Resistenza,in quanto,
come è noto,costituiva nell’organizzazione clandestina una delle basi più attive della
lotta contro il nemico e per quella assoluta fedeltà alla causa della libertà di cui
diede sempre prove preziose e tangibili”, come attestò dopo la liberazione il generale
Bencivenga.
Nel Nord il riferimento allo stato di necessità fu fatto esplicitamente, tra gli altri,dal
colonnello Malgeri e dallo stesso comandante generale Cerrato.
Nella ricerca di una soluzione che consentisse di ridurre al minimo la collaborazione
con le autorità della RSI e,soprattutto,di evitare il coinvolgimento nella repressione
della guerriglia,un aiuto sostanziale venne dall’amministrazione militare tedesca,la
quale,mentre avocò a sé il controllo della produzione bellica,pretese l’istituzione di
un organismo di polizia specializzato per la vigilanza sui prezzi e sui consumi della
popolazione civile,affidandone l’organizzazione alla Guardia di finanza.
Nell’aprile 1944 nacque così la “Polizia Economica”,articolata in nuclei provinciali
con un comando centrale a Crema.
L’istituzione del nuovo organismo,e la continuazione nell’esercizio dei compiti di
natura tributaria consentì di respingere le richieste di concorso nella lotta
antipartigiana,che del resto non vennero più fatte quando divenne evidente
l’inaffidabilità politica dei finanzieri.
Si verificarono in compenso una serie di episodi – disarmo di reparti minori,talvolta
con il passaggio ai partigiani,conflitti con elementi della specialità confinaria della
GNR, arresto di ufficiali ed anche dei componenti di interi reparti per complicità
con la Resistenza – che, dopo aver dato origine ad attacchi di stampa,motivarono
nell’estate 1944 una richiesta al duce dei capi delle province e dei comandanti della
GNR di Como,Varese e Sondrio,perché i reparti della Guardia di finanza fossero
allontanati dal confine svizzero,provvedimento poi attuato dal comando delle SS
senza neppure interpellare le autorità di Salò.
L’ostilità delle autorità di Salò nei confronti della Guardia di finanza - peraltro
giustificata - fu tale da suggerire addirittura l’emanazione di un decreto del duce
contenente “Norme per la cessazione dal servizio degli ufficiali della Guardia di
finanza resisi inadempienti dei doveri del grado nel particolare momento”,un
provvedimento “personalizzato” con il quale venivano abrogate,per i soli
appartenenti al Corpo,le disposizioni sullo stato giuridico degli ufficiali.
In agosto,mentre il ministro Pellegrini si rivolgeva inutilmente a Mussolini perché
l’ordine di allontanamento dal confine fosse revocato,ed inviava ai suoi uomini
appelli alla coesione ed alla disciplina, la stampa svizzera dava per imminente lo
scioglimento del Corpo e la deportazione dei suoi componenti.
Negli stessi giorni il comandante della legione di Milano,in vista di tale
eventualità,prendeva accordi per il trasferimento dei finanzieri nell’Ossola,dove
avrebbero costituito una formazione partigiana autonoma.
Il progetto non ebbe seguito per le evidenti difficoltà di attuazione,ma segnò il
definitivo passaggio dell’organizzazione della Guardia di finanza nel campo della
Resistenza,anche perché l’esempio milanese fu imitato in tutti i principali centri
dell’Italia settentrionale,da Genova a Torino,da Venezia a Trieste.
A partire dalla fine dell’estate 1944,quindi,la collaborazione con le formazioni
partigiane e con la rete clandestina dei Comitati di Liberazione Nazionale si fece
sempre più stretta,fino a sfociare,negli ultimi mesi,in atti di aperta insubordinazione e
poi nella partecipazione diretta di comandi e di reparti organici all’insurrezione.
L’assunzione del comando generale del Corpo Volontari della Libertà da parte del
generale Raffaele Cadorna,giunto a metà agosto da Roma accompagnato dal tenente
de Laurentiis ( il quale fungerà da ufficiale di collegamento con il comando della
Guardia di finanza), conferì al rapporto un crisma di legalità indubbiamente rilevante
per le scelte dei vertici del Corpo.
Una valutazione storica della vicenda pare non possa prescindere da qualche
considerazione preliminare.
Sembra innanzitutto fuori luogo parlare di un atteggiamento “antifascista” della
Guardia di finanza,che presupporrebbe una consapevolezza politica difficilmente
attribuibile alla massa degli appartenenti al Corpo.
Ma d’altra parte il comportamento dei finanzieri non può essere inquadrato nella
categoria della “zona grigia”,costituita da coloro che cercarono di sopravvivere,né in
quella dei tecnici e dei politici che aderirono alla RSI nella convinzione di
adempiere un dovere,in nome della continuità dello stato e della riduzione dei danni
dell’occupazione tedesca.
Si trattava in realtà di persone soggette alla disciplina ed alla legge penale
militare,armate ed in uniforme,inquadrate in un’organizzazione che faceva capo ad
una linea di comando responsabile,alle quali,una volta evitato il coinvolgimento nella
repressione della guerriglia,la paralisi del sistema fiscale offriva la strada
dell’atteggiamento passivo,ed invece scelsero,almeno dall’estate 1944, quella della
collaborazione con la Resistenza.
L’aspetto peculiare della vicenda consiste nel fatto che non si trattò di scelte
individuali – che certamente non mancarono in altri organismi militari e di polizia –
ma di una scelta istituzionale della quale furono partecipi sia la catena di comando
che i gregari.
Una peculiarità che,anni dopo,Riccardo Lombardi (al quale,durante la clandestinità, il
comando della legione di Milano aveva fornito un’identità di sottufficiale del Corpo)
descriverà in questi termini:
“Certamente la Resistenza fu costellata di adesioni numerosissime di militari
dell’esercito,dei carabinieri e anche della pubblica sicurezza,ma la partecipazione
collettiva di un Corpo militare compatto,partecipazione non occasionata dalle
vicende della ritirata,come avvenne per le truppe rifluite dalla Francia…..ma di una
volontaria determinazione,fu un episodio unico e,ad accrescerne il significato,fu il
fatto straordinario che le decisioni di intervento assunsero via via e sempre più il
carattere di una consultazione democratica fatta quasi alla luce del sole,malgrado le
esigenze della cospirazione.”
Il mantenimento di un atteggiamento uniforme,da parte di diverse migliaia di uomini,
per molti mesi e malgrado rischi di portata capitale,può costituire motivo di legittimo
compiacimento per gli appartenenti all’organizzazione; se l’autoconservazione fu
probabilmente la molla principale, un altissimo livello di disciplina e di spirito di
corpo furono di certo i fattori determinanti.
Ma sembra lecito chiedersi come una vicenda del genere sia stata possibile,in piena
guerra,quando la posizione della Guardia di finanza negli ambienti della RSI era non
solo nota ,ma ripetutamente denunciata .
E’ possibile che tale atteggiamento sia stato tollerato,perché la Guardia di finanza
accentuando la propria connotazione tecnica,riuscì a ricavarsi uno spazio di
sopravvivenza in una realtà fortemente disomogenea,come era quella sia
dell’apparato di occupazione germanico che del sistema di sicurezza repubblicano.
Gli studi di Collotti e di Klinkhammer hanno sottolineato il carattere “policratico”
del primo, nel quale erano in competizione almeno cinque centri di potere,ciascuno
con i propri referenti in Germania: il comando delle truppe operanti del maresciallo
Kesselring,la rappresentanza diplomatica dell’ambasciatore Rahn, l’amministrazione
militare diretta,fino a luglio ’44, dal generale Toussaint, il ministero della produzione
bellica di Albert Speer,rappresentato dal generale Leyers,il comando delle SS e delle
forze di polizia dell’Obergruppenfuhrer Wolff.
Leyers riuscì,com’è noto, a far prevalere le esigenze della partecipazione
dell’industria italiana al programma di produzione bellica tedesco,superando le
direttive che imponevano la deportazione della forza lavoro e lo smantellamento
degli impianti.
Perché tale politica avesse successo,era importante che la RSI si desse un sistema di
controllo dei prezzi,degli ammassi e della distribuzione tale da contenere
l’inflazione, anche mediante l’istituzione di una “Polizia Economica”, e che gli altri
organi dell’apparato tedesco evitassero di interferire in tale settore riservato (per le
questioni che non interessavano direttamente l’economia di guerra – come nel caso
della presenza al confine - le SS facevano prevalere il loro punto di vista).
Quanto al sistema di sicurezza repubblicano, la situazione di crisi in cui versò fin
dall’inizio,e che si andò progressivamente accentuando,non consentì evidentemente
di procedere allo scioglimento del Corpo ed alla deportazione in massa dei
finanzieri (che probabilmente avrebbero incontrato anche la resistenza tedesca,per i
motivi già detti).
Una ipotesi di lavoro,certamente,che andrebbe verificata con un adeguato
approfondimento di ricerca,anche se non pare possa esser posta in dubbio la
constatazione della bassa efficienza dell’apparato della RSI.
Dal punto di vista della Guardia di finanza,si trattò comunque di un gioco condotto
con abilità e determinazione,reso possibile da un livello elevato di disciplina e di
coesione., e mediante il quale un pezzo del “vecchio stato” diede una prova
apprezzabile di “tenuta”,nella tragedia dell’occupazione e della guerra civile