Il 2 giugno. Oltre la festa e il clamore.
L'Italia è nata il 2 giugno del '46? Certamente no. Forse il 17 marzo del '61, quando viene proclamato il regno partorito dalla cooperazione fra Cavour, Garibaldi, Napoleone III, il ministro Gladstone e il Caso periglioso e benevolo? Neppure. A quale anno, a quale serie di eventi dobbiamo risalire? Difficile dirlo. A quanto si insegnava nel buio Ventennio si dovrebbe risalire addirittura al 21 aprile del 753 a. C., data tradizionale della fondazione Roma. Ed in effetti un consistente filo rosso tra la prima e la terza Roma si può facilmente ritrovare nella lingua, essendo l'italiano figlio legittimo e primogenito della lingua latina, e se è vero che attraverso la lingua recuperiamo l’ immenso patrimonio culturale che costituisce, lo si voglia o meno, la nostra identità. Politicamente le cose sono andate in modo assai diverso, ma alla fine la politica è andata dietro alla cultura, e dopo la Patria è nato, bene o male, lo Stato.
Ora, quello che vorrei dire è che in questa immensa vicenda le creature angeliche avevano qualche scheletro nell' armadio, e i malvagi qualche buona ragione da far valere. I plebisciti organizzati in Romagna, Toscana e nel Meridione per giustificare le annessioni del 1860 furono largamente falsate dai brogli, e di molti esponenti dello stato borbonico fu comprato il tradimento. D'altra parte non sono mai venuti meno i sospetti sul voto del 2 giugno, e nella circostanza colui che diede miglior prova non fu un repubblicano ma il Re di Maggio, quell'Umberto II il quale, per evitare ogni rischio di scontri di piazza, non appena escono i primi risultati del voto prende l'aereo e se ne vola in Portogallo per dare inizio al lungo, iniquo, infame esilio inflitto ai Savoia dalla neonata democrazia repubblicana.
La storia è un miscuglio di bene e di male, e spesso dal primo origina il secondo, e dal secondo il primo. Ognuno la osserva, la studia, vi immerge le mani. E vi sceglie i suoi miti.