DIBATTITO SU “BIOETICA DI INIZIO E FINE VITA” LANZO D’INTELVI

Per chi abbia voglia e tempo ecco il mio intervento al dibattito sulla bioetica. Buona lettura. DIBATTITO SU “BIOETICA DI INIZIO E FINE VITA” LANZO D’INTELVI – 16.08.2016 Etica da ethos (costume, comportamento) = come devo comportarmi? Ovviamente questa domanda presuppone 1) Che ci sia un comportamento giusto e uno sbagliato, ovvero che si possa fondare metafisicamente un’etica 2) Che io sia libero di scegliere l’uno o l’altro Che ci sia un bonum e un malum è lo stesso che dire c’è un iustum ...

Per chi abbia voglia e tempo ecco il mio intervento al dibattito sulla bioetica. Buona lettura. DIBATTITO SU “BIOETICA DI INIZIO E FINE VITA” LANZO D’INTELVI – 16.08.2016 Etica da ethos (costume, comportamento) = come devo comportarmi? Ovviamente questa domanda presuppone 1) Che ci sia un comportamento giusto e uno sbagliato, ovvero che si possa fondare metafisicamente un’etica 2) Che io sia libero di scegliere l’uno o l’altro Che ci sia un bonum e un malum è lo stesso che dire c’è un iustum e un erratum. Dipende dall’ontologia ovvero da com’è fatto l’Essere e dal fatto che il reale sia razionale ovvero intelligibile in modo univoco. E qui torniamo al principio di non contraddizione ovvero alla fonte prima del nostro pensare. L’essere è e non può non essere, dunque il reale è fatto in un certo modo e non in un altro, può trasformarsi certo ma non può essere contemporaneamente due cose insieme. Dunque o un’asserzione è giusta o è sbagliata, o una cosa è buona o è cattiva. Ma cos’è buono? Buono è ciò che compie l’Essere, che ne compie la sua finalità. Ciò che i greci chiamavano eudaimonia, letteralmente il buon demone, il Destino buono potremmo tradurre un po' liberamente. O come dice San Tommaso la plenitudo essendi. Ora mi si chiederà: ma chi l’ha detto che noi abbiamo un Destino, un fine? Semplice perché abbiamo un inizio. L’Universo è creato, prodotto da un principio primo increato ed eterno e dunque ha una fine (nel senso temporale) e un Fine nel senso teleologico ovvero è creato per uno scopo (fosse solo quello di funzionare bene come una macchina) e il suo bene coincide con il raggiungimento del suo scopo intrinseco. Ma allora la libertà, il libero arbitrio dove vanno a finire? Il fatto è che lo scopo (e quindi il Bene) non sono immediatamente evidenti alla nostra ragione. Sono frutto di un’inferenza, di un ragionamento. Radix libertatis est voluntas sicut subiectum sed sicut causa est ratio (S.Tommaso). Abbiamo un’evidenza prima del bene ma non l’evidenza delle cose buone, un’evidenza del Fine ma non di quale sia il fine di ogni singola creatura. In questa azione della ragione nell’individuazione dei fini e dei beni sta il libero arbitrio, perché la ragione umana lavora sempre su oggetti limitati e dunque per aderire al bene provvisoriamente individuato non basta riconoscerlo ma occorre volerlo. Video meliora proboque sed deteriora sequor. In questa volizione c’è tutta la nostra libertà. C’è un’ulteriore distinzione tra atti eliciti e atti imperati che mette al riparo la nostra libertà: l’atto elicito è l’atto stesso di volere (ricordate Orwell 1984, nessuno può impedirmi di pensare un determinata cosa) e come tale è sempre libero. L’atto imperato è la traduzione diciamo così “storica” del primo e questo può essere condizionato da fattori fisici (una malattia invalidante ad es.) o sociali (un regime dittatoriale). Ma un ridotto di libertà – al contrario di quello che sosteneva Spinoza - finchè c’è un barlume di ragione ce l’abbiamo sempre. Persino Kant ne “La religione nei limiti della sola ragione” sostiene che il male è “frutto dell’arbitrio insondabile dell’uomo” dunque riconosce che in un contesto deterministico ci deve essere spazio per la libertà altrimenti si perderebbe la responsabilità personale sui singoli atti. Nella scienza c’è libertà? NO come sostiene Kant nella sua famosa espressione contenuta nella prefazione alla seconda edizione della Critica della Ragion Pura “dovetti togliere il sapere per far posto alla fede” musste = dovetti ovvero la conoscenza incontrovertibile appartiene solo al mondo dei fenomeni e in esso non c’è libertà ma solo determinismo. Per dare uno spazio di umanità, c’è solo la fede ma una fede monca della ragione, limitata nel suo perimetro. Mentre come dice Levinas “Nella filosofia occidentale la nozione di totalità è stata persa mentre è solo una visione panoramica del reale a soddisfare pienamente lo spirito”. La Legge. Dunque se c’è un bonum e un malum e l’uomo lo può conoscere esiste una legge (nomos) ovvero un insieme di prescrizioni che salvaguardano il bene. L’idea è degli Stoici che a noi arriva tramite Cicerone (ratio summa insita in natura, aeterum quiddam quod universum mundum regeret). Ma siccome non abbiamo un’intuizione IMMEDIATA dei valori (vs Scheler) la legge naturale va inferita ovvero dimostrata. Basandosi sul principio di non contraddizione: ogni ente opera per un fine, il fine dell’uomo è il bene, ergo il primo precetto morale è FAI IL BENE. E come si declina questo bene? Ecco le “inclinazioni naturali” come le chiama Tommaso 1) La conservazione dell’essere. 2) La perpetuazione della specie 3) La vita razionale e la contemplazione della bellezza 4) La vita sociale (homo animal sociale) L’uomo è persona non individuo né solo animale, quindi come dice Kant ogni persona ha una dignità che non può essere scambiata o barattata per nessun altro valore. La coscienza è il luogo dove il soggetto attualizza i giudizi generali della lex naturalis e li traduce in comportamenti. Attenzione perché nella ragion pratica l’applicazione può essere fallace, dunque va costruito un habitus al giudizio morale, una consuetudine al discernimento che chiamiamo prudenza. Dunque nelle materie delicate e difficili da giudicare bisogna seguire la linea che prudentemente salvaguarda di più i principi generali sopra enunciati. Un esempio di prudenza nella valutazione di un problema morale lo troviamo in San Tommaso sul problema dell’animazione dell’embrione. Tommaso segue la teoria aristotelica (Libro della generazione degli animali, II, III, 736a35), da lui espressamente citata (Summa Theologiae, III, 33, ob. 3), secondo la quale 'in tempi successivi il corpo viene formato e preparato a ricevere l'anima'. Per cui la materia del corpo viene umanamente animata - riceve cioè l'anima umana - non nell'istante della concezione, ma intorno al 40.mo giorno dalla concezione. Dapprima abbiamo la realtà vivente - il vivum -, poi la realtà animale - l'animal -, e infine la realtà umana - l'homo - (ivi), che 'assorbe', include e 'oltrepassa' le precedenti (ivi, I, 118, 2, 2m)". Quindi Tommaso segue le errate convinzioni della scienza del tempo circa le procedure di generazione e l’embriologia. Ma da ciò non deduce che interrompere la gravidanza sia legittimo. Anzi nei Commenti alle Sentenze di Pietro Lombardo (lib. 4 d. 31 q. 2 a. 3 expos.), scrive che praticare l’aborto è un peccato grave. Ha quindi applicato il principio di prudenza, ove la scienza positiva offre indicazioni contrastanti o incomplete deve prevalere la regola dalle conservazione della vita. Bioetica. Disciplina esistente da sempre in medicina ma diventata di sempre maggior importanza di conserva con gli sviluppi straordinari della biologia e delle biotecnologie. L’espressione fu coniata per la prima volta dall’oncologo australiano Popper nel 1971 e ripresa nelle diverse successive stesure del Codice di Helsinki e dei documenti fondativi dei Comitati Bioetici Nazionali che esistono in gran parte delle nazioni. Le problematiche più frequentemente trattate sono quelle relative alla generazione umana (fecondazione eterologa, maternità surrogata, aborto, eugenetica, ecc) e quelle relative al fine vita (accanimento terapeutico, cure palliative, eutanasia attiva e passiva, disposizioni anticipate di fine vita, ecc.) In tutte queste materie i principi etici generali prima ricordati portano a suggerire la massima prudenza nella sperimentazione in modo da non subordinare il valore della persona a quello della scoperta scientifica in se e per se. Quanto alle possibilità di porre fine volontariamente alla vita propria e altrui si ricorda come la nostra condizione di esseri finiti e generati non ci rende padroni assoluti del nostro corpo mentre la nostra natura di “animali sociali” ci deve far valutare la vita (e la morte) dei singoli in un contesto globale, comunitario, di accompagnamento e di condivisione. Ciò detto con tutto il rispetto e la comprensione per i casi “limite” spesso citati quali giustificazioni per introdurre pratiche eutanasiche diffuse sull’esempio di paesi come la Svizzera e la Svezia.