Un uomo solo al comando a Roma e un Podestà ossequente a Milano?
Un uomo solo al comando a Roma e un Podestà ossequente a Milano? Le sta tentando tutte: si presenta in pubblico in camicia aperta senza cravatta; si fa fotografare mentre mangia avidamente un panino tra popolani osannanti; dichiara di rifuggire dai salotti bene, lui che di quei salotti è il rappresentante qualificato; si confonde nel voto delle primarie con la lunga fila di cinesi che, boldrinianamente si impegna a non chiamare più: “ immigrati”. Insomma un’operazione di maquillage conforme a...
Un uomo solo al comando a Roma e un Podestà ossequente a Milano? Le sta tentando tutte: si presenta in pubblico in camicia aperta senza cravatta; si fa fotografare mentre mangia avidamente un panino tra popolani osannanti; dichiara di rifuggire dai salotti bene, lui che di quei salotti è il rappresentante qualificato; si confonde nel voto delle primarie con la lunga fila di cinesi che, boldrinianamente si impegna a non chiamare più: “ immigrati”. Insomma un’operazione di maquillage conforme al trasformismo renziano che è la cifra della sua candidatura: andar di bolina, puntando a destra per andare a sinistra. E chi, meglio di un uomo come Giuseppe Sala, poteva assolvere a questo ruolo? Commis d’état già collaboratore di fiducia di Letizia Moratti e di una giunta di centro-destra, scelto da Matteo Renzi alla guida della città di Milano, previo passaggio nelle primarie senza regole e facilitato dalla suicida partecipazione di tre concorrenti alla sua sinistra capaci di dividere, com’era ovvio, il voto della loro parte politica sino a renderla del tutto irrilevante. La sua candidatura è conseguente a quanto Sala ha saputo dimostrare alla guida di EXPO 2015. Una manifestazione in chiaro oscuro la cui storia è ancora tutta da approfondire, compresa quella ultima del bilancio finanziario con conti che, l’ex commissario, si è rifiutato sin qui di rendere noti. Resta il rammarico di un PD, incapace di esprimere un candidato degno della sua seppur breve storia, obbligato a compiere a Milano, come in molte altre città italiane, la rincorsa a candidati dello schermo, figli dell’età della crisi della politica italiana che stiamo vivendo. Diversamente da ciò che scrive il nostro amico Francesco Damato, appartengo alla schiera di coloro che considerano Matteo Renzi un rischio grave per la democrazia in Italia, sia per le modalità inconsuete con cui è giunto al potere e sia per come sta esercitando la funzione che gli è stata concessa. Non dipende certo dalla sua statura politica, assai modesta sul piano culturale, più portato alle astuzie di corto respiro, ereditate dai suoi giovanili trascorsi tra le ultime file di un’ormai esangue DC. Una figura quella di Matteo Renzi, che il prof Giovanni Sartori ha rappresentato così: “ è svelto, furbo, agile. Uno con i riflessi prontissimi. Però imbroglia le carte su tutto: un conto sono le promesse elettorali, un altro camuffare la realtà”. La mia analisi inserisce Renzi, invece, in un progetto più vasto e complesso quello che vede il primato del turbo o finanz- capitalismo, che ha assegnato alla finanza il compito di dettare i fini ponendo l’economia e la politica in condizioni subordinate e strumentali. Un primato che, non solo ha determinato lo sconquasso economico e sociale del mondo tuttora in corso, ma sta sferrando un attacco a tutte le costituzioni rigide presenti nella maggior parte dei Paesi occidentali. Si tende, così, a utilizzare “ servi sciocchi” imposti, come nel caso italiano, alla guida dei governi, impegnandoli a favorire il superamento di quelle costituzioni, sino ad annullare il concetto stesso di sovranità popolare e con essa della democrazia. Ciò sta avvenendo, da un lato, con la bislacca riforma del Senato che con il combinato disposto della legge super truffa dell’Italicum tende ad annullare, come già sta avvenendo dal famigerato Novembre 2011 (ammissioni finalmente fatte dallo stesso esecutore Napolitano), ciò che rimane della sovranità popolare, e, dall’altro, con l’impegno a imporre alla guida delle principali città italiane, leadership prone a quel ritorno del centralismo più spinto, a misura del governo di “un uomo solo al comando”, distruttore delle residue autonomie su cui si è costruita la storia politica democratica del nostro Paese. Giuseppe Sala è l’uomo adatto al processo di normalizzazione che, col superamento del NOMA ( NOn Overlapping Magisteria), impone la finanza ai vertici decisori degli obiettivi e all’economia e alla politica la funzione strumentale e subalterna. Bene ha fatto l’amico Nicolò Mardegan, l’uomo nuovo della politica milanese con la sua lista NOIxMILANO, a definire Sala “ il commissario di Palazzo Chigi a Palazzo Marino”. Il compito del progetto renziano: un uomo solo al comando a Roma e un podestà ossequiente nella capitale dell’economia e della finanza italiana. Siamo basiti dall’idea che su tale progetto possano ritrovarsi a convergere in quella che fu la culla dell’avanguardia della sinistra sindacale e politica italiana, la migliore tradizione del PCI-PDS-DS e quella del riformismo socialista. Stento a credere che sarà così e penso che qualcosa a sinistra accadrà pena la definitiva scomparsa di quella pur nobile cultura politica. I popolari milanesi, invece, saranno a fianco di Mardegan e della sua lista, interessati a costruire la più ampia alleanza omogenea a quella che guida la Regione Lombardia, in alternativa al trasformismo renziano e ai suoi accoliti. Ettore Bonalberti www.alefpopolaritaliani.eu www.insiemeweb.net www.don-chisciotte.net