LA MATERNITA’ NON E’ UN DIRITTO: IL CASO DI MARTINA ALLEVATO

LA MATERNITA’ NON E’ UN DIRITTO:
IL CASO DI MARTINA ALLEVATO   Non potevo immaginare che un giorno avrei difeso e sostenuto con convinzione Annamaria. Ai tempi del liceo lei era un anno più grande di me, molto carina, ma non mi era particolarmente simpatica. Il suo papà era una persona molto importante in quei tempi: era un Giudice. Me lo ricordo quel signore distino e affilato, sempre con una sigaretta in mano, lo guardavo con rispetto e ammirazione. I...

LA MATERNITA’ NON E’ UN DIRITTO: IL CASO DI MARTINA ALLEVATO   Non potevo immaginare che un giorno avrei difeso e sostenuto con convinzione Annamaria. Ai tempi del liceo lei era un anno più grande di me, molto carina, ma non mi era particolarmente simpatica. Il suo papà era una persona molto importante in quei tempi: era un Giudice. Me lo ricordo quel signore distino e affilato, sempre con una sigaretta in mano, lo guardavo con rispetto e ammirazione. I giorni passano e oggi Annamaria è il contestato Sostituto Procuratore della Repubblica del Tribunale dei Minori di Milano, quel giudice che oggi ha depositato il ricorso per l’adottabilità del bambino . Il bimbo è nato poco prima della una del quindici agosto nella clinica Mangiagalli di Milano e, come da prassi, è stato allontanato dalla madre e dai parenti della copia in attesa delle decisioni del Tribunale dei Minori. Decisioni impopolari quelle del Giudice Fiorillo, e certamente poco mediatiche, non in linea con il perbenismo da salotto che aleggia intorno a noi. Ma lei è un giudice del Tribunale dei Minori e il suo unico obiettivo è difendere i diritti dei minori nel rispetto delle leggi vigenti, non quello dei detenuti, dei loro genitori, dei loro amanti, dei giornalisti o dei benpensanti. Un neonato ha il diritto all'amore, alla tenerezza, alla cura, a essere cresciuto in un ambiente famigliare e non so fino a che punto una giovane donna capace (e non ancora pentita) di programmare ed eseguire con tale freddezza e ferocia la violenza che ha messo in atto, possa dare tutto ciò e suppongo che l'ambiente  carcerario non sia l'ideale nel quale trascorre i primi giorni ed i primi mesi della propria vita. E’innegabile che Martina Levato (che quando ha commesso il reato era perfettamente conscia di essere incinta) non abbia tenuto conto degli interessi del figlio che aveva in pancia, totalmente presa a soddisfare le sue brame di vendetta, credo invece che possa (legittimamente) pensare di usare questa maternità come lasciapassare per ammorbidire e accorciare la pena. La decisione dell’allontanamento ha scatenato le prevedibili ire dei famigliari della detenuta e fiumi di parole della stampa buonista. I genitori del piccolo sono in carcere condannati (rei confessi) in primo grado per un reato che in qualche modo lo riguarda giacché proprio la notizia della gravidanza, secondo la ricostruzione processuale, aveva innescato quella che i giudici definiscono la “saga di purificazione” ispirata dal padre del bimbo. Martina Levato bocconiana di ventitre anni non era la prima volta che aggrediva un vecchio amante, qualche mese prima, infatti, aveva cercato di evirare un compagno di università. Il fatto era  avvenuto a maggio quando la Levato ed il  ragazzo si rivedono dopo alcuni mesi e, saliti sulla macchina di le, i due si appartano nel parcheggio di un hotel. A un tratto lei gli dice chiudi gli occhi che ti faccio un regalo ma quando lui li riapre, la vede con in mano un coltello con il quale vuole evirarlo, riesce a difendersi si ferisce alla mano poi spalancata la portiera corre a chiedere aiuto al portiere dell'hotel. Domenica 28 dicembre la seconda aggressione firmata dalla Levato e dal suo nuovo amante Alexander Boettcher, un ragazzo tedesco di trent'anni sposato. Martina e la sua vittima Pietro Barbini erano compagni di classe al Liceo Parini di Milano e avevano avuto una breve storia poi  le loro strade si erano divise lui era andato studiare a Boston negli Stati Uniti mentre Lei era rimasta e si era iscritta alla Bocconi. Alcuni mesi prima del fattaccio i due si sentono via WhatsApp e Pietro viene a sapere che l'ex fidanzatina ha una relazione con il tedesco, lei gli racconta tutti i particolari della storia, vissuta come una relazione morbosa e lui la invita a troncare, poi i messaggi tra i due s’interrompono. Ad agosto il giovane riceve un SMS da parte di Alexander che lo invita a coalizzarsi contro la donna. Tornato a Natale in Italia per passare le vacanze con la famiglia Pietro manda un messaggio di auguri a Martina ma non riceve risposta. Dal giorno seguente però comincia a ricevere telefonate da uno sconosciuto che lo invita a ritirare un pacco regalo. Nel pomeriggio del ventotto Pietro si reca sul luogo dell'appuntamento in via Giulio Carcano a Milano insieme al padre e, appena parcheggiata l'auto all’altezza del  numero civico che gli era stato indicato, alle sue spalle arrivano i due aggressori :  la ragazza gli getta l'acido muriatico addosso, Pietro scappa inseguito dal tedesco che ha in mano un martello e dopo poche centinaia di metri il giovane ha la prontezza girasi di scatto e di placare l'inseguitore. A quel punto intervengono il padre della vittima e un passante che immobilizzano l'uomo fino all'arrivo della polizia mentre la Levato era fuggita ed è stata rintracciata solo qualche ora dopo. Doppie vite quelle dei giovani amanti, si scopre poi che il trentenne si occupa della gestione di alcuni immobili di proprietà della famiglia , è sposato da 10 anni, anche se la moglie era totalmente all'oscuro della relazione che lui aveva con la Levato e lei ha dei comportamenti apparentemente normali.   In un appartamento sfitto dove l'uomo s’incontrava con la giovane amante, sono stati rinvenuti cinque flaconi di acido muriatico compatibile con quello usato sulla sua vittima, un bisturi e del cloroformio che lui usava per incidere il suo nome sulle donne che glielo chiedevano (Martina è marchiata con una “A” incisa sulla guancia). Il Giudice Fiorillo ben conosce questi fatti noti, e probabilmente ne conosce anche altri a noi non noti e in conformità a quanto sa  ha preso le sue decisioni che, peraltro, (È utile ripeterlo) sono dovute. Io penso che la maternità e la paternità non sono dei diritti. L’essere padre o madre è un complicato mestiere che richiede quotidianità e amore, che consentono anche errori e porta delusioni, grandi gioie e felicità, ma non ha alcun legame né con il concepimento né con il parto. E’ un mestiere che si perfeziona nel tempo e non tutti noi siamo in grado di diventare dei mastri in materia. L’atteggiamento dei genitori di Martina e Alexander è sembrato molto più interessato al destino dei loro figli incarcerati che a quello del nuovo arrivato per il quale sarebbero necessarie approfondite riflessioni. Non è con le interviste e le comparsate che si difendono gli interessi di un neonato, forse un dignitoso silenzio unito a un basso profilo sarebbero molto più adatte. Il giudice Annamaria Fiorillo si è mosso con buonsenso e nel rispetto delle norme, scontrandosi con la ricerca dei clamori mediatici che caratterizzano questa era di ciarlatani, ma dandoci una lezione su come la nostra coscienza ed il dovere vengano prima di ogni altra cosa. Complimenti Giudice Fiorillo, con tutta la mia sincera ammirazione.