Il prezzo della benzina secondo Gallotti Mauro

Il prezzo della benzina andò alle stelle molto repentinamente e a tutti i locali pubblici venne fatto divieto di utilizzare le insegne luminose animate e di grandi dimensioni. Le trasmissioni televisive dovevano finire inderogabilmente alle ore 23,00 e i cinema chiudere dopo il primo spettacolo serale. L’illuminazione pubblica fu ridotta del 40 % e, soprattutto, di domenica le auto non potevano circolare. Sembra il racconto di un’economia di guerra, da coprifuoco, e in un certo senso lo era d...

Il prezzo della benzina andò alle stelle molto repentinamente e a tutti i locali pubblici venne fatto divieto di utilizzare le insegne luminose animate e di grandi dimensioni. Le trasmissioni televisive dovevano finire inderogabilmente alle ore 23,00 e i cinema chiudere dopo il primo spettacolo serale. L’illuminazione pubblica fu ridotta del 40 % e, soprattutto, di domenica le auto non potevano circolare. Sembra il racconto di un’economia di guerra, da coprifuoco, e in un certo senso lo era davvero. I meno giovani tra i lettori lo ricorderanno. Era il 1973 quando il mondo visse un periodo di inquietudine legata alla crisi del petrolio. La difficoltà di approvvigionamento fu una conseguenza indiretta dello scoppio della guerra tra Israele e l’Egitto, ma aldilà delle circostanze scatenanti, quello che ricordiamo bene di quel periodo è il messaggio chiaro e forte che arrivò più o meno da tutte le autorità dell’epoca, ovvero “il petrolio prima o poi finirà, più prima che poi, e dobbiamo cercare fonti alternative”. Con alcune e anche importanti eccezioni c’era la diffusa convinzione che l’ultimo barile sarebbe stato bruciato nell’arco di pochi decenni e si nutrivano molti dubbi sulla possibilità di scoprire abbastanza nuovi giacimenti in grado di sostenerne i consumi crescenti. Previsioni sbagliate, tanto per cambiare. Oggi, settembre 2015, esattamente 42 anni dopo, sembra ci sia tanto di quel petrolio da non doversi più porre questo tipo di problema e il suo prezzo, sceso sotto i 40 dollari al barile per il WTI, è forse destinato a dover scendere ancora. E in quanto alle previsioni degli analisti, va bè, lasciamo perdere. Quando era a 100 dollari dicevano che “il suo prezzo” era 80, quando il prezzo è sceso a 60 hanno ritoccato “il suo prezzo” a 70. Quando è sceso a 50 hanno abbassato di nuovo “il suo prezzo”, questa volta a 60. Adesso che è a 40 dicono che potrebbe scendere a 30. Forse è la volta buona che comincerà a salire. Semplifico un po’ le cose ma il concetto di fondo è proprio quello; sembra sparino numeri a casaccio. Valli a capire. La verità è che il più delle volte le previsioni hanno le stesse probabilità di realizzarsi di quelle che avremmo lanciando una monetina lanciata per aria. La caduta di valore delle materie prime sembra non avere più fine quando invece è abbastanza logico pensare che sia solo un fatto ciclico e provvisorio. Viviamo in un mondo in cui crescono continuamente il numero degli abitanti e il loro tenore di vita mentre le materie prime sono risorse “finite” per definizione. I loro prezzi non potranno scendere per sempre. Su questo semplice dato di fatto potrei scommettere anche il mio ultimo euro. Come e quando questo accadrà è un altro paio di maniche. Poiché d’estate non ci annoia mai, il crollo del prezzo del petrolio non è l’unico elemento che ha attraversato la calura di questi magnifici mesi. E questa estate è stata particolarmente vivace. Dopo la telenovela greca e oltre alla questione petrolio, al rientro dalle vacanze troviamo in primo piano, nel quadro che la storia sta dipingendo, la decisione della Banca Centrale Cinese di svalutare il Renminbi e il possibile rialzo dei tassi da parte degli USA. Sulla moneta cinese i media hanno, tanto per cambiare, esagerato un pochino. La divisa cinese arriva da un decennio di rivalutazioni continue contro il dollaro e sembra normale che a fronte di un rallentamento dell’economia si possa assistere a un moderato ribasso nel cambio. E in quanto al Shangai Index Composite, è vero che siamo crollati nell’arco di un paio di mesi da 5166 punti agli attuali 3200. E’ anche vero tuttavia che due anni fa, settembre 2013, l’indice viaggiava a 2300 punti. E’ scoppiata una bolla che tutti sapevano che sarebbe scoppiata, prima o poi. E forse è proprio qui il problema, tutti speriamo che sia sempre “poi” e che la festa debba continuare per sempre. In quanto ai rialzi dei tassi negli Stati Uniti sembra che serpeggino molti dubbi tra i membri della FED che dovranno prendere tale decisione. Vedremo. Chiudo con un piccolo aneddoto. Il rendimento lordo dei BOT semestrali all’ultima asta è stato fissato allo 0,007%. Il prezzo di aggiudicazione è stato fissato a 99,996. Sebbene il Tesoro si sia premurato di ricordare che qualora il prezzo totale di vendita, tenuto conto della ritenuta fiscale risulti superiore a 100, l'importo delle commissioni deve essere ridotto in modo da garantire ai sottoscrittori di uscire almeno alla pari non c’è molto da stare allegri. Ed è un vero peccato che il Ministero non si sia ricordato di specificare che l’imposta di bollo dello 0,20 % verrà comunque pagata alla fine dell’anno. Quindi, anche per questo mese, chi sottoscrive BOT fa un’operazione in perdita. Secondo me è nei tassi così bassi che si annidano i rischi veri per i risparmiatori. Quando i tassi saliranno le conseguenze potrebbero essere devastanti per chi non avrà tolto dal proprio portafoglio il tasso fisso a medio e a lungo termine. MAURO ANGELO GALLOTTI