Costruiamo la seconda gamba del sistema

Costruiamo la seconda gamba del sistema       La condizione più volte denunciata della fine dello Stato di diritto in Italia e la situazione emergenziale di lunga durata sofferta dal sistema istituzionale, sono il riflesso della grave crisi politico culturale fra e nei partiti.       Una protesi artificiale prodotta dal porcellum incostituzionale e dalle equivoche regole delle primarie nel PD, ha favorito la leadership di Matteo Renzi e la formazione di un sovra ...

Costruiamo la seconda gamba del sistema       La condizione più volte denunciata della fine dello Stato di diritto in Italia e la situazione emergenziale di lunga durata sofferta dal sistema istituzionale, sono il riflesso della grave crisi politico culturale fra e nei partiti.       Una protesi artificiale prodotta dal porcellum incostituzionale e dalle equivoche regole delle primarie nel PD, ha favorito la leadership di Matteo Renzi e la formazione di un sovra dimensionato  gruppo parlamentare del PD nei due rami del Parlamento.       Di qui la nascita di una, seppur fragile, prima gamba del sistema politico italiano, che è caratterizzato dalla frantumazione dell’ex centro-destra, dopo la crisi irreversibile della leadership berlusconiana, e dai due raggruppamenti  del Movimento cinque stelle e della Lega. Tutto ciò in rappresentanza di poco più del 50% del corpo elettorale, con la restante parte che, da diverse tornate elettorali, diserta il voto.       Di qui la situazione inconsueta e più anomala di tutta la storia repubblicana italiana di un partito, il PD, che con il 25,4 % dei voti alle politiche del 2013 ( 29,5% l’intera coalizione), non solo controlla tutto il potere, ma si appresta con la famigerata legge dell’Italicum e la tragicomica soluzione prefigurata dalla legge di riforma del Senato a controllare in maniera totalitaria il Paese.       All’instabile gamba del sistema, rappresentata dal PD,  se si andasse a votare con l’Italicum, sarebbe indispensabile concorrere alla costruzione della seconda gamba, al fine di garantire la sopravvivenza di una dialettica democratica senza la quale finiremmo in un regime a partito unico dominante.       Il tema che, come Popolari italiani ci proponiamo, non è quello della ricostruzione del centro-destra che, dopo la fallimentare esperienza ventennale a guida del Cavaliere, ha esaurito la sua funzione, ma di concorrere, come scriviamo da  tempo, alla formazione di un nuovo soggetto politico laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans nazionale, ispirato ai valori  dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel PPE da ricondurre ai principi dei padri fondatori. Un soggetto politico, seconda gamba del sistema italiano, alternativo al socialismo trasformista renziano e ai populismi delle estreme.       Su tale progetto, che può contare sul contributo offerto dagli orientamenti delle ultime encicliche della dottrina sociale della Chiesa, con la riaffermazione dei principi di sussidiarietà e solidarietà quali antidoti alle degenerazioni prodotte a livello internazionale dal turbo capitalismo finanziario, dobbiamo fare i conti con la realtà politica del Paese.       La metà dell’elettorale che vota si polarizza su PD, M5S e Lega, con percentuali  residue su ciò che rimane del vecchio centro-destra, mentre alla restante metà degli elettori che non votano, serve una nuova offerta politica in grado di suscitare una credibile speranza, dopo la sciagurata dimostrazione di inefficienza e immoralità della classe dirigente protagonista della seconda Repubblica agli sgoccioli.       Parlare di Popolari italiani, dopo la lunga diaspora vissuta dalla fine della DC, con gli assai poco commendevoli esempi degli eredi di quel grande partito, ancora divisi nell’assurda difesa di residuali ruoli di tristissime ininfluenti comparse, significa avere coscienza dell’enorme impegno che bisognerà mettere in campo, anche alla luce delle risorse umane e materiali che, molti di noi, al di fuori dei giochi dell’infausto ventennio (1994-2014), hanno dovuto sin qui impiegare per facilitare la ricomposizione di quest’area politico culturale.       L’obiettivo, tuttavia, che oggi ci poniamo non riguarda solo i cattolici e i Popolari, ma, più in generale, i laici cristianamente ispirati, che intendono collegarsi alla migliore  tradizione del PPE di Adenauer, De Gasperi e Schuman, alternativa al quella del PSE nelle sue attuali declinazioni nazionali: laburiste, socialiste francesi o spagnole, trasformiste renziane.       Offrire una nuova speranza alla metà degli elettori che non vanno a votare, vuol dire partire da un’analisi attenta di ciò che accade a livello della nostra società che, euristicamente, ho più volte cercato di  rappresentare, in quella da me definita “teoria dei quattro stati”: la casta, i diversamente tutelati, il terzo stato produttivo, il quarto non Stato.       Nulla abbiamo da sperare dalla casta, sempre più chiusa nei suoi privilegi e nella propria autoreferenzialità e con connessioni sempre meno occulte con quel quarto non stato pronto a utilizzare ogni opportunità offerta da chi gestisce il potere. Un’attenta valutazione e un serio confronto si dovranno, invece, compiere sulla complessa e articolata realtà dei diversamente tutelati.       Il terzo stato produttivo dovrà essere uno dei nostri riferimenti essenziali,  avendo consapevolezza che, oggi ancor più di ieri, si impone la necessità di raccordare gli interessi di questo terzo stato produttivo con quelli dei ceti più deboli e indifesi, parte dei diversamente tutelati, declinando in maniera efficace politiche ispirate ai principi di solidarietà e sussidiarietà enunciati.       Se Renzi persegue politiche come quelle auspicate dal presidente di Confindustria Squinzi, di smantellamento delle centrali di rappresentanza e di mediazione sociale, i Popolari faranno riferimento ai criteri propri dell’economia sociale di mercato e a quelli dell’economia civile; gli unici, che nell’età della globalizzazione, possono costituire lo strumento efficace ed efficiente per garantire, con il mantenimento delle regole democratiche, condizioni di equilibrio sociale senza le quali si avrebbe la disarticolazione della nostra stessa convivenza.       E lo si dovrà fare, non solo partendo dalle realtà  sociali organizzate, molte delle quali non esenti da quei fenomeni di autoreferenzialità e vizi propri della casta, ma, soprattutto, dalle numerose presenze di gruppi, movimenti, associazioni territoriali da collegare in costituenti civiche e popolari di base, dalle quali, a partire dalle prossime elezioni amministrative, far emergere la nuova classe dirigente locale a nazionale.       Certo, ricomposta l’area popolare, dovremo porci seriamente il tema delle alleanze, avendo sempre pronto l’olio nella lampada in caso di elezioni anticipate. Un tema che affronterò in un prossimo articolo.       Ettore Bonalberti   www.alefpopolaritaliani.eu   www.insiemeweb.net   www.don-chisciotte.net