Cirinnà bis, la palla ora sta ai #popolari | Mirko De Carli – Uno di noi

Continua la battaglia delle lobby lgbt affinché anche in Italia si aprano le porte ad una regolamentazione selvaggia e impropria delle famigerate unioni civili. Devo dire che le stanno davvero tentando tutte: l’ultima, in ordine di tempo, la presentazione al Senato di un nuovo (che di nuovo non ha pressoché nulla) disegno di legge sempre a firma Monica Cirinnà da portare in prima istanza al dibattimento in aula, superando le difficoltà evidenti emerse in commissione giustizia. Purtroppo l’ost...

Continua la battaglia delle lobby lgbt affinché anche in Italia si aprano le porte ad una regolamentazione selvaggia e impropria delle famigerate unioni civili. Devo dire che le stanno davvero tentando tutte: l’ultima, in ordine di tempo, la presentazione al Senato di un nuovo (che di nuovo non ha pressoché nulla) disegno di legge sempre a firma Monica Cirinnà da portare in prima istanza al dibattimento in aula, superando le difficoltà evidenti emerse in commissione giustizia. Purtroppo l’ostinazione di certi ambienti interni al Partito Democratico, mossi probabilmente dall’esigenza politico-elettorale di esibire la bandiera del (finto) progressismo con l’approvazione di una legge sui matrimoni gay, fa risorgere dal sepolcro dove era stata abbattuta la proposta della senatrice Cirinnà, infischiandomene completamente della maggioranza degli italiani che questa legge non la vogliono. Ma forse i piccoli club di potere, nei palazzi delle istituzioni repubblicane e non solo, contano di più del consenso popolare. Le cosiddette unioni civili tornano così alla ribalta dei lavori parlamentari attraverso un mero cambio dei fattori nella proposta di legge: cambio dei fattori che porta pero ad un risultato che è il medesimo, ed è assolutamente disastroso. La nuova versione del Cirinnà non prevede un esplicito riferimento all’art.29 della costituzione che disciplina il matrimonio, una previsione più dettagliata delle spese e delle risorse da mettere a disposizione, nessuna retromarcia sulla questione dell’utero in affitto e uno slittamento in avanti della delega al governo per le ‘ulteriori regolamentazioni’, tale per cui si potranno fare correzioni fino al 2018. L’obiettivo dei democratici, che ostentano compattezza ma non la mostrano nei fatti (già alcuni senatori si dicono molto preoccupati della previsione della pratica dell’utero in affitto) è quella di incardinare il ddl in aula al Senato entro il 15 ottobre. Per il presidente del consiglio Renzi rimane in piedi la possibilità di un’approvazione del provvedimento a Palazzo Madama prima della legge di stabilità. Il nuovo testo recepisce la premessa già approvata in commissione giustizia che definisce le unioni civili una ‘specifica formazione sociale’, scompare il riferimento ad uno specifico ‘registro delle unioni civili’ in quanto l’iscrizione delle nuove coppie avverrà ‘nell’archivio dello stato civile’ e sono maggiormente definiti i parametri entro i quali poter usufruire del nuovo istituto. L’art.3 si mostra a tutti gli effetti come uno degli articoli principali del provvedimento: non sono più presenti riferimenti agli articoli del codice civile che disciplinano il matrimonio, non viene più prevista la richiesta di inserire la dicitura ‘unione civile’ dopo quella di ‘matrimonio‘ ‘ovunque nelle leggi, decreti e regolamenti’, taluni articoli del codice civile come quello sugli obblighi tra coniugi, indirizzo e residenza, sono ripresi ma senza utilizzare la definizione ‘famiglia’ ed infine gli articoli inerenti agli obblighi verso i figli sono stati decurtati integralmente. Nessuna novità invece all’art.5, quello che prevede l’introduzione in Italia della pratica dell’utero in affitto: resta parimenti uguale prevedendo la facoltà del coniuge ‘di adottare il figlio anche adottivo dell’altro coniuge’. Insomma la nostra più grande preoccupazione, per cui abbiamo scritto per mesi su La Croce, trova conferma nella riproposizione del famigerato art.5 del ddl Cirinnà. Su questo sia in Area Popolare che tra i democratici sorgono preoccupazioni e dissensi. Un’altra novità prevista nella nuova versione riguarda la possibilità del cambio di sesso: nel caso specifico è previsto lo scioglimento dell’unione mentre il matrimonio viene declassato ad unione civile ‘automaticamente’, sempre che i coniugi desiderino di mantenere il vincolo. Rimane prevista anche l’applicazione del regime delle pensioni di reversibilità per le coppie che si uniscono in unioni civili. Sul piano della copertura finanziaria, richiesta dalla commissione bilancio e dalla Corte dei conti, il provvedimento prevede che vengano coperte in parte dal fondo per gli interventi strutturali di politica economica e un’altra parte dai fondi di riserva e speciali del Ministero dell’Economia: parliamo di previsioni di spesa pari a 3,7 milioni di euro per il 2016 fino ad arrivare ai 22,7 milioni del 2025. Stupisce come per problematiche annose ed urgenti come la bonifica dei territori, il dissesto idrogeologico, la manutenzione delle scuole pubbliche, ecc… si faccia un’estrema fatica a trovare i soldi nelle casse dello stato, mentre per provvedimenti che di urgente non hanno nulla si dovrebbero trovare con molta facilità. Ritornando agli articoli della proposta di legge preoccupa e non poco lo slittamento fino al 2018 per l’emanazione, da parte del governo, dei decreti legislativi che hanno come finalità l’armonizzazione del Cirinnà bis con le altre leggi dello stato: in tal senso grande attenzione va posta al tema della trascrizione in Italia dei matrimoni contratti all’estero. Il rischio di allargamento delle maglie della legge, come da tempo diciamo, è davvero altissimo. Capite bene quanto sia pericolosa la strada che sta scegliendo il partito democratico, ovvero quella di spingere sull’acceleratore (non avendo una piena compattezza di posizioni al suo interno) su una normativa spinosa controversa. Ma soprattutto dannosa per il futuro del nostro paese. Ricordo a Renzi che, come ben scriveva Costanza Miriano ieri su Facebook, le unioni civili non portano bene a chi governa: l’ultimo politico caduto che si è intestato la battaglia delle unioni civili è proprio il dimissionario sindaco di Roma Ignazio Marino. Occorre adesso che i centristi della coalizione di governo mostrino coraggio e visione di prospettiva: dichiararsi quindi contrari al Cirinnà bis e ipotizzare esplicitamente la crisi di governo nel caso di forzature (o approvazioni con maggioranze diverse da quella di governo) da parte dei democratici. Forza amici di Area popolare, la palla ora è in mano a voi. Articolo pubblicato in esclusiva su La Croce Quotidiano mirkodecarli