Sta molto male il manager col maglioncino blu

Forse il suo stato di salute è irreversibilmente compromesso e John Elkann invia una lettera ai dipendenti in cui dice di essere “profondamente addolorato per le condizioni di Sergio”

Ufficialmente si è ricoverato all’Universitätsspital, una clinica di Zurigo, per un banale intervento chirurgico alla spalla destra, ma voci non confermate parlano di una malattia oncologica ben più grave e dal 27 giugno, giorno della sua ultima apparizione pubblica a Roma, per la presentazione della nuova Jeep Wrangler, non è più apparso in pubblico.
Era arrivato a Torino dal Canada nel 2003 per sederi nel Consiglio di amministrazione del lingotto, chiamato da Umberto Agnelli e il 1° giugno 2004 divenne l’amministratore delegato del Gruppo FIAT.
Fu subito messo in discussione perché veniva dall’estero e portava un maglioncino blu, come d’altra parte era uso fare anche un altro personaggio dal nome Steve Jobs, ma per entrambi era più un simbolo di genialità artistica che di informalità.
L’uomo col maglione venuto dal Canada si ritrovò tra le mani un’eredità disastrosa consegnatagli dal suo predecessore Giuseppe Morchio con un bilancio che vedeva ricavi per 47 miliardi di euro, 7 in meno dell’anno precedente, un indebitamento netto di circa 15 miliardi e 2 miliardi di perdite e 500 milioni di negativo operativo.
Stando ai dati del bilancio 2017 i ricavi del gruppo hanno toccato i 110,9 miliardi con utili per 3,51 miliardi e al momento, prima del suo ricovero il debito netto era stato azzerato.
L’uomo col dolcevita che sta lottando tra la vita e la morte è un manager criticato e lodato, amato e odiato, rispettato e disprezzato, ma è di certo un protagonista nella scena economica mondiale degli ultimi 15 anni.
Secondo Nicola Porro, che ha ripercorso la storia del manager che in 14 anni, da quasi sconosciuto, ha prima salvato Fiat dal fallimento e poi l'ha rilanciata, spavaldamente, nel novero dei grandi player internazionali del mercato dell'automobile, con l’uscita di scena di Marchionne dalla Fiat si chiude una delle storie manageriali di maggiore successo in Italia e ne possiamo trarre due fondamentali insegnamenti: “viene prima l'uomo, e poi l'azienda” e “l'Italia è industrialmente morta, bisogna guardare oltre”.