Talian: quando veneti, lombardi, trentini e friulani crearono una lingua nuova in Brasile.

Talian. “Merica, Merica, Merica, cossa saràlo ‘sta Merica?”. Questa canzone popolare ricalca abbastanza fedelmente quale fosse l’animus di coloro che, nella seconda metà dell’800, lasciarono la penisola italiana alla volta dell’America meridionale. Nessuno sapeva precisamente cosa fosse questa “Merica” di cui tutti parlavano come se fosse l’Eldorado, ma la fama di terra ricca, in cui “ghe n’è par tuti”, ebbe la meglio sulla diffidenza e spinse miglia di agricoltori v...

Talian. “Merica, Merica, Merica, cossa saràlo ‘sta Merica?”. Questa canzone popolare ricalca abbastanza fedelmente quale fosse l’animus di coloro che, nella seconda metà dell’800, lasciarono la penisola italiana alla volta dell’America meridionale. Nessuno sapeva precisamente cosa fosse questa “Merica” di cui tutti parlavano come se fosse l’Eldorado, ma la fama di terra ricca, in cui “ghe n’è par tuti”, ebbe la meglio sulla diffidenza e spinse miglia di agricoltori veneti e lombardi a credere in questo sogno di abbondante prosperità e quindi a partire. Purtroppo però quello che si trovarono difronte non fu esattamente quanto sperato: la canzone continua infatti “E alla Merica noi siamo arrivati, no abbiam trovato né paglia né fieno, Abbiam dormito sul nudo terreno, come le bestie abbiam riposà”. Solo una volta scesi dalla nave, questi uomini e queste donne ebbero la consapevolezza di quale laborioso compito il governo imperiale brasiliano avesse riservato loro: strappare, con la perizia delle proprie braccia, lande limacciose alla giungla per trasformarle in qualcosa di vagamente coltivabile. Invece di scoraggiarsi, gli immigrati bonificarono la terra, la resero fruttifera e costruirono delle vere e proprie città. Presto, per queste comunità sparse prevalentemente nello stato del Rio Grande do Sul, ma con una forte rappresentanza anche in quelli di Santa Catarina e Paranà, sorse la necessità di una lingua comune, da usare nelle transazioni commerciali e nell’attività religiosa. Solo i pochissimi che avevano un’istruzione elementare conoscevano l’italiano, così come ancor meno avrebbero potuto imparare il portoghese correttamente, data la penuria di scuole e maestri. Con il tempo nacque e si consolidò una koiné dialettale su base veneta, ma con forti influssi lombardi ( ne è un esempio la presenza della vocale anteriore semichiusa arrotondata, tipica appunto della Lombardia) e portoghesi. Così i figli degli immigrati e le generazioni successive si tramandarono, oltre ai dialetti natii, anche questa nuova parlata, che nei centri urbani minori era la più parlata. Il regime autoritario del presidente Getùlio Vargas, negli anni quaranta, rese la vita difficile a coloro che parlavano abitualmente questo idioma: chi veniva trovato ad esprimersi, finanche nelle mura domestiche, in una lingua diversa dal portoghese, era accusato di essere antipatriottico e condotto in carcere. In questo periodo il talian prese il suo nome e diventò una lingua a tutti gli effetti. L’obbiettivo era cercare di conservarlo nonostante le persecuzioni e dargli un valore identitario che non escludesse nessuno dei dialetti originari. Non era comunque italiano, nemmeno ci assomigliava, dunque per distinguerlo da esso venne tolta la “I”. Dopo gli anni 60, quando ormai erano passati cent’anni dall’arrivo dei primi coloni, crebbero le iniziative per codificare e divulgare questa lingua. È del 2014 il riconoscimento come patrimonio culturale del Brasile. Il talian oggi è il primo idioma per più di 500 mila persone in 133 città, ma è conosciuto e parlato da quattro milioni di persone, conta centinaia di pubblicazioni letterarie e circa 200 radio l’hanno scelta come lingua per le loro trasmissioni. La canzone “ Merica”, da cui siamo partiti, si conclude con questa strofa: “ E la Merica l’è lunga e l’è larga, l’è circondata dai monti e dai piani, e con la industria dei nostri italiani, abbiam formato paesi e città”. Quello che era un sogno, una prospettiva immaginifica e irreale, è divenuto realtà grazie alla fatica e al sudore di questi uomini. E la loro “creatura”, il talian, ne conserva tutt’ora viva la memoria. Giulio Maria Grisotto