L’Europa è al suo epilogo? La realtà attuale, riletta con la chiave dell’Antica Grecia

L’Europa è al suo epilogo? La realtà attuale, riletta con la chiave dell’Antica Grecia, ci mette in guardia sui pericoli di questa Unione Europea. C’è stato un tempo in cui la Grecia era il faro del mondo. Non tutte le scienze parlarono originariamente greco, d’accordo. Anzi, a dire la verità, i greci avevano preso molto da altri: avevano imparato la geometria e l’astronomia dagli eruditi della Mesopotamia, la filosofia era stata importata dalla lontana India, la marineria ellenica era solo u...

L’Europa è al suo epilogo? La realtà attuale, riletta con la chiave dell’Antica Grecia, ci mette in guardia sui pericoli di questa Unione Europea. C’è stato un tempo in cui la Grecia era il faro del mondo. Non tutte le scienze parlarono originariamente greco, d’accordo. Anzi, a dire la verità, i greci avevano preso molto da altri: avevano imparato la geometria e l’astronomia dagli eruditi della Mesopotamia, la filosofia era stata importata dalla lontana India, la marineria ellenica era solo un perfezionamento di quella fenicia, come, del resto, il sistema di scrittura alfabetico. Però vivere da greco era l’unica esistenza veramente umana, perché: “fuori dalla polis sopravvivono solo il dio e la bestia”. E questo era riconosciuto anche dalla maggior parte dei popoli che commerciavano e avevano relazioni con le città dell’Ellade: ogni giovane rampollo, dall’Istro alle sconfinate steppe dell’Asia centrale, doveva padroneggiare sapientemente la lingua di Omero. Le città greche, nel rispetto delle proprie identità e peculiarità, sapevano unirsi e avere ragione di qualsiasi barbaro, cartaginese o persiano che fosse. Questa età dell’oro era destinata a diventare un amaro ricordo. Le più ricche e potenti tra le polis si resero conto che avrebbero potuto esserlo ancora di più. Come? Soggiogando le più piccole ed esigendo tributi spropositati, estirpando quelle preziosissime peculiarità socio politiche con l’obbligo di avere la medesima forma di governo. Lega di Delo, Lega peloponnesiaca non erano nient’altro che fare l’interesse della città più forte, mascherandolo con l’interesse dell’intera collettività. Dissero di Atene: “ la più democratica al suo interno, la più tirannica all’esterno”. Che si chiamassero Atene, Sparta o Tebe, le dinamiche erano sempre le stesse: la più potente imponeva alle altre la propria egemonia e le plasmava a propria immagine e somiglianza. L’essere “greco” era diventato un concetto vuoto, privo di ogni substrato e contatto con la realtà della penisola ellenica. Quelli che erano considerati barbari non rimasero con le mani in mano: vezzeggiarono i politici più in vista con promesse di oro e di potere. Essi portarono nelle piazze, sempre facendolo passare come il sommo bene delle città che erano chiamati a rappresentare, l’interesse di Pella o di Persepoli. Ogni anno le potenze straniere si facevano sempre più audaci e intraprendenti, portando le polis più esacerbate dalla tirannide della domina regionale, dalla propria parte. Le assemblee si svuotarono presto di reale potere (“noi ce ne stiamo qui seduti a far nulla, passiamo il nostro tempo votando decreti e aspettando notizie”), la corruzione divorò i politici più in vista (“voi avete concesso a chi vuole agire contro giustizia una situazione ideale: se riescono a farla franca, si tengono quanto hanno ricavato dal loro reato, se vengono scoperti, ottengono comprensione). Così i cittadini, sempre più sfiduciati, guardarono con simpatia proprio ai capi di quelli che erano stati i barbari. I dadi erano già stati tratti allora. Non serve dire che quando uno di questi barbari - colui che si proclamava il vero e unico protettore della grecità - sostituì le lusinghe con le pretese e l’oro con il ferro, l’epilogo fu scontato. Ora, se, nella nostra narrazione, cambiassimo qua e là la parola chiave “Grecia” con “Europa”, se paragonassimo le migliaia di polis con le singole identità europee, livellate da direttive e regolamenti nefasti provenienti da Bruxelles (o da Berlino?), se comparassimo le nostre assemblee svuotate di potere e asservite all’interesse di altri stati, con quelle delle città greche, forse faremmo un confronto audace e inusuale. Ma - lo chiediamo al lettore – sarebbe così azzardato? Giulio Maria Grisotto