Quando un pallone fermò la guerra: la tregua di Natale del 1914

Quando un pallone fermò la guerra: la tregua di Natale del 1914.Nella nostra quotidianità prenatalizia, mentre stiamo cenando, pranzando o semplicemente facendo una merenda con una bella fetta soffice di panettone, è probabile che ci capiti di accendere il televisore.
Oltre agli immancabili servizi su babbi natale nell’atto di consegnare doni ai piccini e sulle mense piene di volontari che servono pasti caldi ai meno fortunati, il palinse...

Quando un pallone fermò la guerra: la tregua di Natale del 1914.Nella nostra quotidianità prenatalizia, mentre stiamo cenando, pranzando o semplicemente facendo una merenda con una bella fetta soffice di panettone, è probabile che ci capiti di accendere il televisore. Oltre agli immancabili servizi su babbi natale nell’atto di consegnare doni ai piccini e sulle mense piene di volontari che servono pasti caldi ai meno fortunati, il palinsesto televisivo è saturo di programmi di cui le disquisizioni geopolitiche rappresentano l’oggetto preponderante. Si respira un’aria di tensione, di guerra sospesa. Alla Cortina di Ferro che taglia l’Europa lungo la linea Stettino-Trieste, sembra essersi sostituito un grande campo minato globale, con saltuarie esplosioni più o meno latenti in Venezuela, nel mar del Giappone, in medio Oriente e in Terra santa, quella stessa Terra Santa in cui proprio il Natale ha avuto le sue origini. Lo spirito natalizio però ci coinvolge e ci invoglia a raccontare una storia di speranza e di fiducia in un futuro che, a volte, ci può sembrare davvero fosco ma che rimane sempre nelle nostre mani e dipende da quanto domani saremo migliori di oggi: la storia della partita di natale.   Ormai sono passati cent’anni da quel “tritacarne” umano che è stato la prima guerra mondiale. Forse sono ancora un paio le persone che hanno vissuto durante quel periodo e ci auguriamo che abbiano perso da tempo il doloroso ricordo di quegli anni bui. Infatti, quella che doveva essere una guerra breve nelle intenzioni degli stati maggiori delle potenze in conflitto, non lo fu affatto e, anzi, si protrasse per cinque anni, causando venticinque milioni di morti. Sul fronte occidentale, dove inizialmente le truppe della repubblica francese e dell’impero britannico si contrapponevano a quelle della Germania guglielmina, le grandi manovre tedesche per chiudere la famosa tenaglia intorno a Parigi, si arrestarono a seguito della tenace resistenza anglofrancese sulla Marna. La guerra di movimento, che aveva caratterizzato i conflitti fino a quel momento, aveva lasciato il posto ad una guerra di posizione, in cui i militari erano costretti ad asserragliarsi dentro umide trincee, costruite un po’ alla buona e circondate dal filo spinato.  In questo contesto i soldati, quando non sono intenti ad assaltare alla baionetta le fortificazioni della controparte, si lanciano insulti e si scherniscono vicendevolmente, nei pochi metri che separano gli schieramenti. Questo non accade lungo il fronte di Ypres. Non la notte del 24 dicembre 1914. I fucilieri del reggimento Essex, che stanno a guardia della loro postazione, vedono i tedeschi disporre in buon ordine delle candele nella propria. Gli inglesi, meravigliati, li sentono intonare “Stille nacht”, la “Silent night” britannica. Decidono quindi di rispondere con il canto “adeste fideles”. I tedeschi li seguono. La mattina di Natale un soldato dell’Essex urla: “ Fritz ( soprannome con cui erano chiamati gli appartenenti al popolo germanico dai britannici), Fritz, good morning, how are you?- Fritz, Fritz buongiorno, come stai?”. Inizialmente pochi nemici rispondono, ma con il passare del tempo la conversazione diventa sempre più prorompente, sempre più partecipata. Qualcuno addirittura, incurante dei possibili cecchini, scavalca il parapetto della propria trincea. In quel momento accade l’impensabile miracolo di Natale: Non si spara. Nella “terra di nessuno” gli uomini dei due schieramenti si incontrano e si scambiano sigarette, mostrano orgogliosi le foto della propria fidanzata o di un figlio appena nato, scherzano e chiacchierano della casa lontana, seppelliscono i compagni abbandonati sul campo e pregano insieme. Nella “terra di nessuno” i soldati ridiventano esseri umani. Non si sa da dove, ma ad un certo punto spunta fuori anche un pallone da calcio. Quelli che prima avevano un fucile in mano, ora palleggiano, inizialmente solo i tedeschi, ma poi nella confusione la palla arriva anche agli inglesi. Non si tratta di una vera e propria partita, finché non vengono formate due squadre, una composta di scozzesi per l’esercito britannico e l’altra di sassoni per quello germanico. La partita termina 3 a 2 per i tedeschi e probabilmente non sarebbe finita là, se il pallone non si fosse conficcato su di un rotolo di filo spinato. Inconvenienti della guerra. Gli ufficiali superiori e i generali non guardarono di buon occhio alla fraternizzazione che si era creata con il nemico. In fondo, l’esercito era al fronte per combattere, non per giocare a pallone. Pian piano riprese, controvoglia ( come fai a sparare ad uno che ti ha appena offerto una sigaretta?), il fuoco, anche perché sui militari oltre alle fucilate del nemico, incombeva anche lo spettro di una sentenza di condanna a morte per alto tradimento. Durante il conflitto non ci furono più notti di Natale come quella del 1914. Anzi i comandi supremi inasprirono i cannoneggiamenti proprio in prossimità delle festività natalizie, così da rendere più inferociti i combattenti. Eppure la notte del 24 dicembre 1914, un pugno di questi uomini c’ha dato in eredità una grande lezione e un grande messaggio di speranza: per la pace, per la fratellanza tra i popoli, vale la pena persino sfidare la morte scavalcando il parapetto di una trincea. Buon Natale. Giulio Maria Grisotto