Non si tratta di uscire dall'euro ma di sopravvivere alla sua ormai inevitabile caduta

Leggo sempre i fondi di Giavazzi e Alesina, e ne consiglio la lettura a tutti, essenzialmente per la loro chiarezza. Parla di chiarezza espositiva, cui tuttavia non sempre è accompagnata un'equipollente chiarezza concettuale. Voglio dire: quello che hanno da dire lo dicono chiaramente, ma spesso lo dicono semplificando, e qualche volta la semplificazione è eccessiva. Nel fondo odierno, intitolato "L'insensata uscita dall'euro", il cui spunto è l'annuncio da pare del Movimento 5 stelle di un r...

Leggo sempre i fondi di Giavazzi e Alesina, e ne consiglio la lettura a tutti, essenzialmente per la loro chiarezza. Parla di chiarezza espositiva, cui tuttavia non sempre è accompagnata un'equipollente chiarezza concettuale. Voglio dire: quello che hanno da dire lo dicono chiaramente, ma spesso lo dicono semplificando, e qualche volta la semplificazione è eccessiva. Nel fondo odierno, intitolato "L'insensata uscita dall'euro", il cui spunto è l'annuncio da pare del Movimento 5 stelle di un referendum consultivo appunto per l'uscita dall'euro, scrivono che «un'eventuale svalutazione decisa per guadagnare competitività sarebbe neutralizzata dai dazi che gli altri Paesi imporrebbero sulle nostre esportazioni». Ora, malgrado nei libri di economia rimanga scritto che il tasso di cambio influisce sulle esportazioni, la storia economica recente ha dimostrato che così non è. Basti pensare al Giappone. Alla svalutazione di oltre il 35% nei confronti del dollaro degli ultimi anni non è corrisposto alcun aumento delle esportazioni. Certo, se misuri l'export nella svalutata moneta locale è ovvio che gli importi aumentano, ma è altrettanto ovvio che si tratta di un abbaglio derivante dalla riduzione del valore dell'unità di misura, la svalutata valuta locale, per l'appunto. L'entità delle esportazioni puoi valutarla soltanto o in termini di quantità o di valuta estera. alt Non voglio farla lunga. La svalutazione non comporta benefici per l'export, a prescindere dai dazi degli altri Paesi. Dunque non è per questo che si uscirebbe dall'euro, mi perdonino i due professori. E non è nemmeno esatto dire che si uscirà dall'euro, dal momento che è l'euro che ci espellerà tutti quanti. L'euro non regge. E non regge perché economie diverse non possono avere una stessa moneta. Ciò non in ragione del fatto – come molti dicono – che tra paesi con diversi tassi di crescita e produttività servono aggiustamenti dei tassi di cambio (ho parlato prima dell'inefficacia dei tassi di cambio sulle esportazioni) ma perché i paesi debitori possono sopravvivere solo con una svalutazione interna. Voglio essere chiaro che più non si può, anche se sempre meno di Alesina e Giavazzi, per carità: se non mi puoi aumentare lo stipendio perché ti sei indebitato, tu, Stato Italiano, mi devi abbassare i prezzi, perché altrimenti io non campo. La svalutazione interna, se sei nell'area euro, non puoi farla. E allora l'operaio italiano prende la metà dello stipendio di quello tedesco ed ha lo stesso costo della vita. Questo può durare? No, ed è la ragione per cui l'euro crollerà. A meno che i Paesi debitori acquistino per incanto una produttività pari alla tedesca. Un'ipotesi risibile, che se non riconosci come tale diventa di colpo drammatica. È questo il dramma che stiamo vivendo. Per concludere: non si tratta di uscire dall'euro bensì di sopravvivere alla sua inevitabile caduta. Chiunque venga a dire agli italiani di rimanere nella moneta unica sta preparando per loro un futuro di ristrettezze e privazioni. E solitamente si tratta di persone che non hanno mai provato né l'una cosa né l'altra. A presto. Edoardo Varini