IL MANIFESTO PER IL NO

IL MANIFESTO PER IL NO La crisi della democrazia italiana impone una riforma del funzionamento dello Stato e delle sue istituzioni. Ma una riforma cattiva e lacerante può aggravare questa crisi e, presentata dalla narrazione dominante come una riforma decisiva, rischia di buttare a mare la possibilità di rinnovare veramente il nostro sistema politico. Insomma: Una riforma sbagliata spacciata come risolutiva produrrà nuovi problemi e porrà una pesante ipoteca sulla possibilità di affrontarli s...

IL MANIFESTO PER IL NO La crisi della democrazia italiana impone una riforma del funzionamento dello Stato e delle sue istituzioni. Ma una riforma cattiva e lacerante può aggravare questa crisi e, presentata dalla narrazione dominante come una riforma decisiva, rischia di buttare a mare la possibilità di rinnovare veramente il nostro sistema politico. Insomma: Una riforma sbagliata spacciata come risolutiva produrrà nuovi problemi e porrà una pesante ipoteca sulla possibilità di affrontarli seriamente. La ricerca di un ampio consenso nella scrittura di regole che appartengono a tutti non può certamente tradursi in un paralizzante potere di veto. Il rifiuto del potere di veto non può tuttavia diventare un’arma per delegittimare chiunque esprima una posizione diversa. E’ dunque preoccupante una campagna referendaria, innanzi tutto da parte dell’attuale Presidente del Consiglio, che prima ancora del suo avvio ufficiale tende a considerare illegittimo qualunque dissenso, o comunque a liquidarlo dividendo in modo manicheo e caricaturale i “sinceri riformatori” dai “cupi conservatori”, quasi si trattasse di una differenza antropologica. Lo stesso atteggiamento ha indotto peraltro il Governo Renzi, durante l’iter della riforma, a non prendere nemmeno in considerazione ipotesi di correzione e aggiustamento dell’impianto che pure erano state avanzate da più parti. Chi propone questo appello è convinto che l’Italia potrà vivere una nuova e più felice stagione solo se saprà avviare un profondo e condiviso rinnovamento istituzionale. Tuttavia una legge di riforma sbagliata nel metodo e nel merito, come quella che sarà sottoposta a referendum in autunno, non può esserne la base. Per questo è necessario mettere in cantiere fin da subito un programma riformista realmente efficace e ancor più ambizioso, orientato alla effettiva ricerca di soluzioni, piuttosto che alla mera legittimazione di un potere contingente. Una via decisionista, con interventi maldestri, unilaterali e privi di qualsiasi approccio organico, era già stata sperimentata nel 2001 con la riforma del Titolo V della Costituzione, che incideva sul rapporto Stato-Regioni. Anche in quell’occasione si privilegiò l’effetto propagandistico sulla visione sistemica: senza condivisione tra le principali forze politiche e senza un vero mandato popolare, quella riforma ha indebolito ancora di più il rapporto tra cittadini e istituzioni e in poco tempo ci si è trovati a fare i conti con i danni istituzionali e soprattutto economici provocati al Paese. Anche allora si disse che una riforma sarebbe stata migliore di nessuna riforma. Quindici anni dopo ci si è pentiti amaramente di quell’affermazione. Non vogliamo che la storia si ripeta e, purtroppo, le incongruenze della legge Renzi-Boschi fanno prevedere che ciò accadrà. Modificare la base elettorale della Presidenza della Repubblica senza definire meglio questa delicata e influente carica istituzionale, e lasciando che ad esprimerla possa essere il solo partito di maggioranza con al più un limitato apporto esterno, crea nuovo caos fra i poteri. Prevedere un numero potenzialmente abnorme di procedimenti legislativi alternativi, in alcuni casi con un preoccupante livello di indefinitezza, rischia di aggrovigliare ciò che si intendeva semplificare e far rientrare dalla finestra il contenzioso che ci si illude di cacciare dalla porta. Pensare a un Senato in cui siano centrali le Regioni, senza peraltro definire in che modo si realizza questa rappresentanza, mentre al tempo stesso delle Regioni è depotenziato il significato a prescindere da una seria riflessione sui motivi della loro attuale inefficacia, appare schizofrenico. Infine, l’accoppiamento di una legge elettorale come l’Italicum con una riforma costituzionale che vorrebbe risolvere il problema del buon governo di società complesse con soluzioni superficiali e pasticciate, pone il problema sia della rappresentatività sia dei limiti e dei contrappesi al potere di chi è chiamato a governare. Pagare questo prezzo, peraltro, non servirebbe nemmeno a favorire una tendenza verso un fisiologico sistema di alternanza: è anzi lecito attendersi che un partito poco rappresentativo, ma con il potere di governo, circondato da opposizioni frammentate sarà il protagonista di fenomeni di trasformismo analoghi a quelli che stanno segnando questa legislatura. Fenomeni che potranno essere aggravati se il disinvolto uso del potere al quale stiamo assistendo – come mostrano la gestione dell’informazione e i metodi utilizzati per le nomine pubbliche già oggi – dovesse divenire la regola. Per tutte queste ragioni non si può che votare “NO” al referendum costituzionale di ottobre. La consapevolezza della fase di transizione politica che seguirà il referendum richiede di mettere subito in campo, anche per smentire chi paventa dannose impasse istituzionali, ipotesi di riforma mature e condivise che non siano concepite né percepite come strumenti dell’una o dell’altra parte politica per affermare il proprio potere qui ed ora. Affinché il percorso vada avanti, e lo faccia con una forte partecipazione della società italiana, occorre evitare quelle difficoltà che per trent’anni hanno tenuto in scacco tentativi riformatori spesso nobili e ben articolati: per questo si potrebbe ricorrere a strumenti come il referendum d’indirizzo che consentano al popolo sovrano di partecipare consapevolmente e non plebiscitariamente al processo riformatore. Tutti noi a diverso titolo ci siamo spesi nel tempo per un cambiamento vero, per una riforma effettiva del nostro sistema politico-istituzionale, a partire dalla forma di governo. E non intendiamo arrenderci. Ma il cambiamento può produrre gli effetti sperati solo se è orientato a obiettivi chiari e perseguito attraverso strade ragionevoli, scelte sulla base di ampie conoscenze, di esperienze già realizzate, di un’approfondita valutazione dei rapporti causa-effetto. Il cambiamento come mera messa in scena può al contrario aprire prospettive imprevedibili e pericolose che l’Italia e gli italiani non meritano. www.ilnocheserve.it Area degli allegati