Aprire il dibattito sulla riforma negli enti locali

Aprire il dibattito sulla riforma negli enti locali Siamo alla vigilia di una scelta di carattere straordinario per le sorti della democrazia italiana, ma il confronto, già effimero nel Parlamento degli illegittimi nominati, conclusosi con una votazione sostenuta da una maggioranza drogata dal porcellum incostituzionale e dall’apporto dei transumanti del trasformismo parlamentare, è bloccato da un’informazione rigidamente controllata dai poteri forti interni e internazionali. La RAI a totale ...

Aprire il dibattito sulla riforma negli enti locali Siamo alla vigilia di una scelta di carattere straordinario per le sorti della democrazia italiana, ma il confronto, già effimero nel Parlamento degli illegittimi nominati, conclusosi con una votazione sostenuta da una maggioranza drogata dal porcellum incostituzionale e dall’apporto dei transumanti del trasformismo parlamentare, è bloccato da un’informazione rigidamente controllata dai poteri forti interni e internazionali. La RAI a totale controllo renziano, dopo l’allontanamento delle ultime voci critiche, garantisce il pensiero unico del SI, mentre la stampa, di proprietà di settori economici e industriali ben noti, quando non sia direttamente o indirettamente sottoposta alle pressioni governative cui, per convenienza, è difficile opporsi, esegue spartiti a senso unico a favore dell’esecutivo. La casta, ossia il primo dei quattro stati cui faccio riferimento nella mia teoria euristica dei quattro stati, è prevalentemente orientata alla sua sopravvivenza; i diversamente tutelati, invece, nella loro assai diversa stratificazione sociale ed economico finanziaria, sono divisi, così come divisi lo sono stati nelle recenti elezioni tra i partecipanti e i renitenti al voto. Il terzo stato produttivo, largamente responsabile dell’astensionismo elettorale, è lo stato che vive direttamente sulla propria pelle il dramma della crisi economica, finanziaria, sociale e culturale del Paese e, privo di una rappresentanza politica di sicuro approdo, è molto disorientato. Il quarto non Stato, quello del malaffare, naviga a vista, pronto ad allearsi, secondo migliore convenienza, col vincitore di turno. Con la scomparsa delle culture politiche che furono alla base del patto costituzionale e la dominanza del più vasto trasformismo parlamentare di tutta la storia repubblicana, con i partiti ridotti ad effimere sovrastrutture a scarsissima partecipazione e autentico controllo democratico popolare, vengono a mancare le stesse sedi fisiche nelle quali realizzare il confronto tra i sostenitori delle due tesi referendarie. Si giunge alla tragicomica censura del PD, nelle occasioni rappresentate da ciò che rimane dei vecchi festival dell’Unità, nei confronti degli esponenti dell’ANPI che della storia di quel giornale e di quelle kermesse furono tra i promotori, perché favorevoli al NO. Anche i corpi intermedi, depotenziati da una politica che ha inteso lateralizzarli vieppiù, con le loro dirigenze, come quelle sindacali eternamente insostituibili e parte oramai della stessa casta di potere contro la quale dovrebbero ergersi a difensori delle classi lavoratrici subalterne, sembrano disinteressarsi di un voto destinato a stravolgere nel profondo il concetto stesso di democrazia nel nostro Paese. In alcuni casi si pronunciano, come con quell’endorsemen peloso dell’Annamaria Furlan, segretaria della CISL, a favore del governo o, peggio, tacciono, come nel caso dei massimi esponenti delle altre organizzazioni sindacali, con la sola benemerita eccezione di Maurizio Landini. Sono almeno due anni che, nel clima di crisi complessiva dell’Italia, ipotizzo una possibile reazione sociale dal basso; una reazione che, invece, è rimasta sin qui sotto traccia, limitandosi al disimpegno elettorale e a un senso di impotenza e di frustrazione collettiva che serve solo a fare il gioco di chi è interessato a cancellare il significato stesso della sovranità popolare. Anche la proposta più volte formulata di far nascere dal basso dei comitati civico popolari per il NO, fa fatica a decollare nelle sedi regionali e locali, dove le antiche e residuali divisioni politico partitiche sembrano ostacolare quell’unità di intenti che sarebbe oltremodo necessario realizzare. Ecco allora che, in questa situazione ritengo sarebbe quanto mai opportuno aprire il confronto nelle sedi istituzionali più rappresentative della volontà popolare, che sono quelle dei Consigli regionali, delle province o in ciò che è rimasto di esse e dei comuni italiani. Nei giorni scorsi ho espresso una valutazione positiva all’iniziativa assunta, tra molte critiche, dal sindaco di Napoli, De Magistris, con l’assunzione della delibera da parte della  Giunta della sua città a sostegno del NO alla riforma-deforma costituzionale del trio toscano Renzi-Boschi- Verdini. Contro il dilagante conformismo alimentato da ingiustificati timori, piccole convenienze o false attese e nel controllo autoritario sistematico dell’informazione RAI, una spinta dalle realtà locali espressioni pressoché uniche rimaste della sovranità popolare, sarebbe quanto mai auspicabile e fattore di mobilitazione delle coscienze democratiche del Paese. Le forze politiche e culturali, specie quelle che sono più penalizzate dalla situazione del monopolio informativo prima denunciato, dovrebbero allora impegnare i loro rappresentanti negli enti locali a promuovere un approfondito confronto sulla riforma costituzionale oggetto del referendum e sulla legge elettorale, in tutte le regioni, province e nei comuni per amplificare al massimo la conoscenza di ciò che con un SI o con un NO saremo chiamati a decidere il prossimo autunno. La convocazione di una seduta ad hoc dei consigli andrebbe richiesta in tutte le regioni, le province e i comuni italiani. E, dovrebbero farlo, non solo come strumenti e momenti di confronto politico culturale delle diverse realtà rappresentate in sede istituzionale locale, ma tenendo presente le criticità che la riforma comporta proprio per le regioni e le autonomie locali. La riforma Renzi-Boschi costituisce, infatti, un “ritorno al centralismo” che rimette interamente nelle mani dello Stato un’ampia parte dei poteri e delle funzioni che la Costituzione del ’48 aveva equamente distribuito, attraverso criteri di democrazia, partecipazione e pluralismo, tra i diversi organi ed entità parti essenziali della Repubblica. Credo sia questa l’unica strada per fare uscire il dibattito referendario, dalla propaganda e dal controllo a senso rigido dei media e per rendere meglio consapevoli i cittadini della scelta che, con il referendum di autunno, saremo chiamati a compiere. Ettore Bonalberti www.alefpopolaritaliani.it www.insiemeweb.net www.don-chisciotte.net Venezia, 20 Agosto 2016