Italia ed Europa: la necessità di rivalutare il proprio passato per prospettarsi un futuro.
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- 18 gennaio 2018 Istituzioni Italia
ed Europa Le elezioni politiche del 4 marzo, come uno spettro in principio vago, ma che assume consistenza e credibilità via via che si avvicina alla nostra percezione, si avviano a divenire un problema reale, non solo di carattere interlocutorio, al quale la politica italiana dovrà trovare, volente o nolente, una soluzione soddisfacente.
Le elezioni, al di là della registrazione del sentimento popolare, sono la forza attiva, il Demiu...
ed Europa Le elezioni politiche del 4 marzo, come uno spettro in principio vago, ma che assume consistenza e credibilità via via che si avvicina alla nostra percezione, si avviano a divenire un problema reale, non solo di carattere interlocutorio, al quale la politica italiana dovrà trovare, volente o nolente, una soluzione soddisfacente.
Le elezioni, al di là della registrazione del sentimento popolare, sono la forza attiva, il Demiurgo sociale incaricato di plasmare quel soggetto politico che, se tutto va bene, per un lasso di tempo di cinque anni, si assumerà la responsabilità di giocare a scacchi con intelligenze opposte, sul tavolo della politica interna, e di gareggiare nella resistenza fisica e psicologica con forze poco inclini a dispensare favori, nell’arena della politica estera. L’Unione Europea, con le sue istituzioni e i suoi membri, è il primo di diversi anelli che, insieme, costituiscono la catena delle relazioni internazionali (politica estera) del Paese; il primo e anche uno dei più importanti poiché, se non si riesce a essere influenti con i propri coinquilini europei, difficilmente ci si potrà trovare nella situazione di vedersi riconosciuto un ruolo di qualche rilievo da Nazioni ben più grandi e, senza dubbio, potenti della nostra. Se, come si dice spesso, la speranza è l’ultima a morire, confidiamo nel fatto che, prima di congedarsi, attenda almeno di veder nascere, con la prossima primavera, una forza politica in grado di essere artefice del destino proprio e del Paese di cui è l’anima. Non spetta certo alla sfera di cristallo, né tantomeno a sedicenti esperti politologi nostrani ed esteri, delineare la fisionomia con la quale un simile soggetto/forza dovrebbe presentarsi alla vista degli altri Europei. Basta affidarsi alla storia dell’integrazione europea, ad esempio, per capire che, a dispetto del colore della coalizione, i maggiori successi a beneficio del Paese sono stati riportati quando le forze governative si sono presentate unite, compatte e con salde radici presso l’opinione pubblica. Perché questo riferimento alla storia dell’integrazione europea? Perché, che lo vogliamo oppure no, l’Europa è il primo tassello che ogni governo, fin dal secondo dopoguerra e con alterne fortune, ha cercato di incastrare con tanti altri al fine di delineare un quadro migliore del precedente, derivante dal fardello di una cocente sconfitta. Se non fosse stato per l’intraprendenza e il genio dei nostri antenati compatrioti, l’Italia non avrebbe mai potuto sedere, in condizione di parità, al grande tavolo della costruzione europea con potenze che fino a poco prima costituivano il nemico. Dobbiamo smettere di pensare, nell’ottica del « complesso di Calimero », come direbbe Riccardo Perissich, di essere degli incapaci e degli inaffidabili (come talvolta alcune forze straniere vorrebbero lasciarci intendere) e cominciare finalmente a comprendere che, se non fosse stato per noi, l’Europa di oggi sarebbe molto meno attenta alle politiche di carattere sociale e regionale, molto meno “altruistica”. L’Italia non è stata la malata o la « Cenerentola d’Europa » (per lo meno non sempre), per usare l’espressione di Antonio Varsori, che per troppo tempo abbiamo creduto e, ancora, in parte crediamo; influenti politici, tecnocrati, burocrati e diplomatici italiani, in più di sessant’anni di azioni più o meno azzeccate, sono riusciti a piegare le discussioni intergovernative europee in favore della risoluzione di deficit e problemi strutturali che, da soli, difficilmente avremmo saputo e potuto affrontare. L’Italia, insomma, ben più di una volta è riuscita a trasformare l’estenuante braccio di ferro europeo in vittorie di carattere nazionale/patriottico o più semplicemente con forti implicazioni di carattere interno, come, ad esempio, nel caso della risoluzione del problema di Trieste, l’inserimento nel Patto Atlantico al pari delle potenze vincitrici del secondo conflitto, l’apparizione, come fondatrice, nei trattati istitutivi della CECA, delle CEE, EURATOM ecc. ; con questo non si intende dire che, nel passato, sia sempre andato tutto bene, senza intoppi, anzi… ma affermare che il nostro Paese ha sempre raccolto i frutti migliori quando è stato in grado di presentarsi forte, compatto e unito nell’intenzione di strappare, sul campo europeo dei grandi scontri e dei titanici compromessi, quel tanto di benefici e privilegi da renderci orgogliosi di quella genialità e tecnica a noi intrinseche che, la nostra terra, sola, può avere originato. Quale che sarà la coalizione o il partito a vincere le prossime elezioni e a presentarsi sul grande palcoscenico internazionale, c’è da sperare che la lezione della storia recente sia quella, tra le altre, più diligentemente studiata e che non difetti in passione, forza, tenacia e desiderio di ritagliare per il nostro Paese un buon futuro poiché la vita (in questo caso politica), per dirla con Raul Gardini, va « vissuta fino in fondo e non per finta, anche se talvolta c’è da farsi venire il mal di stomaco ». Simone Fergnani