ALDO MORO SCRISSE AL SUO PARTITO : "CON IL CINISMO CHE AVETE MANIFESTATO SINORA"

Aldo Moro, va ricordato per la sua integrità morale,diceva:  « Per quanto si sia turbati, bisogna guardare al nucleo essenziale di verità, al modo di essere della nostra società, che preannuncia soprattutto una nuova persona più ricca di vita e più consapevole dei propri diritti. Governare significa fare tante singole cose importanti ed attese, ma nel profondo vuol dire promuovere una nuova condizione umana. » [caption id="attachment_66856" align="alignleft" width="243"] PAPA P...

Aldo Moro, va ricordato per la sua integrità morale,diceva:  « Per quanto si sia turbati, bisogna guardare al nucleo essenziale di verità, al modo di essere della nostra società, che preannuncia soprattutto una nuova persona più ricca di vita e più consapevole dei propri diritti. Governare significa fare tante singole cose importanti ed attese, ma nel profondo vuol dire promuovere una nuova condizione umana. » [caption id="attachment_66856" align="alignleft" width="243"] PAPA PAOLO VI[/caption] Nacque a  Maglie, in  provincia di Lecce. Suo padre Renato era un ispettore scolastico, originario di  Galatina, la madre Fida Stinchi un'insegnante elementare di  Cosenza. (wikipedia). Si laureò in giurisprudenza a Bari con una  tesi su  "La capacità giuridica penale" e poi ottenne la cattedra universitaria ma partecipò anche ai Littoriali della cultura e dell'arte. (I vincitori dei Littoriali (Littori d'Italia) ricevevano in premio un prestigioso distintivo in oro riproducente la "M" mussoliniana.). Nel 1935 entrò nella   Federazione Universitaria Cattolica Italiana, e la sua attività lo portò a farsi notare da  Paolo Vi. Fece la guerra come ufficiale di fanteria. Si sposò ed ebbe quattro figli, Maria Fida( 1946), Anna ( 1949), Agnese ( 1952) e Giovanni ( 1958).  Prima della fine del Fascismo divenne antifascista, incontrandosi segretamente con altri esponenti del movimento cattolico nell'abitazione di  Giorgio Enrico Falck, noto imprenditore milanese; tra gli altri, erano presenti  Alcide De GasperiMario ScelbaAttilio PiccioniGiovanni Gronchi, provenienti dal disciolto Partito Popolare Italiano di  Don SturzoGiulio Andreotti dell' Azione CattolicaAmintore FanfaniGiuseppe Dossetti e  Paolo Emilio Taviani della  FUCI. Il 19 marzo  1943, il gruppo si riunì a  Roma, in casa di  Giuseppe Spataro, per discutere e approvare il documento, redatto da De Gasperi, " Le idee ricostruttive della Democrazia Cristiana", considerato l'atto di fondazione ufficiale della  Democrazia Cristiana [4]. (wikipedia), Nel 1946, Moro divenne vicepresidente della Democrazia Cristiana e fu eletto all' Assemblea Costituente, e fece tutta la sua carriera politica nella DC. Si ricorda in maniera particolare la sua posizione sul "compromesso storico" dopo che i comunisti di Berlinguer presero le distanze  da Mosca, ma irritò gli americani che erano ancora in in piena  guerra fredda. Un punto di equilibrio che gli procurò tanti nemici interni ed esterni, Russia e America. La sua morte ha colpito tutti ma tanti aspetti della vicenda sono ancora da chiarire, sembra che per le sue opinioni politiche non fosse ben visto nè da tutta la DC ma neanche fuori Italia per il coraggio delle sue posizioni, che ognuno può giudicare politicamente parlando. Non è però in discussione la sua preparazione, la sua correttezza e trasparenza. Segue la lettera famosa con cui scrive a  Zaccagnini, cito solo una frase che la dice lunga su come si sentisse trattato dal suo stesso partito: " IL CINISMO CHE AVETE MANIFESTATO SINORA NEL CORSO DI QUESTI QUARANTA GIORNI DI MIE TERRIBILI SOFFERENZE" Giuseppe Criseo-editore- Varese Press
Domani ,16 marzo è il quarantennale del rapimento di Aldo Moro e della strage della sua scorta. Quel quarantennale che i suoi assassini hanno irriso in questi giorni con la copertura dei principali media italiani e con vile spregio dei sentimenti dei suoi familiari . La lettera che segue è scritta da Moro a Benigno Zaccagnini allora segretario della Democrazia Cristiana e suona come una profezia urticante dei tempi che seguiranno e che ancora viviamo: “Caro Zaccagnini, mi rivolgo a te ed intendo con ciò rivolgermi nel modo più formale e, in certo modo, solenne all'intera Democrazia cristiana, alla quale mi permetto di indirizzarmi ancora nella mia qualità di Presidente del Partito. E' un'ora drammatica. Vi sono certamente problemi per il Paese che io non voglio disconoscere, ma che possono trovare una soluzione equilibrata anche in termini di sicurezza, rispettando però quella ispirazione umanitaria, cristiana e democratica, alla quale si sono dimostrati sensibili Stati civilissimi in circostanze analoghe, di fronte al problema della salvaguardia della vita umana innocente. Ed infatti, di fronte a quelli del Paese, ci sono i problemi che riguardano la mia persona e la mia famiglia. Di questi problemi, terribili ed angosciosi, non credo vi possiate liberare, anche di fronte alla storia, con la facilità, con l'indifferenza, con il cinismo che avete manifestato sinora nel corso di questi quaranta giorni di mie terribili sofferenze. Con profonda amarezza e stupore ho visto in pochi minuti, senza nessuna valutazione umana e politica, assumere un atteggiamento di rigida chiusura. L'ho visto assumere dai dirigenti, senza che risulti dove e come un tema tremendo come questo sia stato discusso. Voci di dissenso, inevitabili in un partito democratico come il nostro, non sono artificiosamente emerse. La mia stessa disgraziata famiglia è stata, in certo modo, soffocata, senza che potesse disperatamente gridare il suo dolore ed il suo bisogno di me. Possibile che siate tutti d'accordo nel volere la mia morte per una presunta ragion di Stato che qualcuno lividamente vi suggerisce, quasi a soluzione di tutti i problemi del Paese? Altro che soluzione dei problemi. Se questo crimine fosse perpetrato, si aprirebbe una spirale terribile che voi non potreste fronteggiare. Ne sareste travolti. Si aprirebbe una spaccatura con le forze umanitarie che ancora esistono in questo Paese, si aprirebbe, insanabile, malgrado le prime apparenze, una frattura nel partito che non potreste dominare. Penso ai tanti e tanti democristiani che si sono abituati per anni ad identificare il partito con la mia persona. Penso ai miei amici della base e dei gruppi parlamentari. Penso anche ai moltissimi amici personali ai quali non potreste fare accettare questa tragedia. Possibile che tutti questi rinuncino in quest'ora drammatica a far sentire la loro voce, a contare nel partito come in altre circostanze di minor rilievo? Io lo dico chiaro: per parte mia non assolverò e non giustificherò nessuno. Attendo tutto il partito ad una prova di profonda serietà ed umanità e con esso forze di libertà e di spirito umanitario che emergono con facilità e concordia in ogni dibattito parlamentare su temi di questo genere. Non voglio indicare nessuno in particolare, ma rivolgermi a tutti. Ma è soprattutto alla D.C. che si rivolge il Paese per le sue responsabilità, per il modo come ha saputo contemperare sempre sapientemente ragioni di Stato e ragioni umane e morali. Se fallisse ora, sarebbe per la prima volta. Essa sarebbe travolta dal vortice e sarebbe la sua fine. Che non avvenga, ve ne scongiuro, il fatto terribile di una decisione di morte presa su direttiva di qualche dirigente ossessionato da problemi di sicurezza, come se non vi fosse l'esilio a soddisfarli, senza che ciascuno abbia valutato tutto fino in fondo, abbia interrogato veramente e fatto veramente parlare la sua coscienza. Qualsiasi apertura, qualsiasi posizione problematica, qualsiasi segno di consapevolezza immediata della grandezza del problema, con le ore che corrono veloci, sarebbero estremamente importanti. Dite subito che non accettate di dare una risposta immediata e semplice, una risposta di morte. Dissipate subito l'impressione di un partito unito per una decisione di morte. Ricordate, e lo ricordino tutte le forze politiche, che la Costituzione Repubblicana, come primo segno di novità, ha annullato la pena di morte. Così, cari amici, si verrebbe a reintrodurre, non facendo nulla per impedirla, facendo con la propria inerzia, insensibilità e rispetto cieco della ragion di Stato che essa sia di nuovo, di fatto, nel nostro ordinamento. Ecco nell'Italia democratica del 1978, nell'Italia del Beccaria, come nei secoli passati, io sono condannato a morte. Che la condanna sia eseguita, dipende da voi. A voi chiedo almeno che la grazia mi sia concessa; mi sia concesso almeno, come tu Zaccagnini sai, per essenziali ragioni di essere curata, assistita, guidata che ha la mia famiglia. La mia angoscia in questo momento sarebbe di lasciarla sola - e non può essere sola – per l'incapacità del mio partito ad assumere le sue responsabilità, a fare un atto di coraggio e responsabilità insieme. Mi rivolgo individualmente a ciascuno degli amici che sono al vertice del partito e con i quali si è lavorato insieme per anni nell'interesse della D.C. Pensa ai sessanta giorni cruciali di crisi, vissuti insieme con Piccoli, Bartolomei, Galloni, Gaspari sotto la tua guida e con il continuo consiglio di Andreotti. Dio sa come mi sono dato da fare per venirne fuori bene. Non ho pensato no, come del resto mai ho fatto, né alla mia sicurezza né al mio riposo. Il Governo è in piedi e questa è la riconoscenza che mi viene tributata per questa come per tante altre imprese. Un allontanamento dai familiari senza addio, la fine solitaria, senza la consolazione di una carezza, del prigioniero politico condannato a morte. Se voi non intervenite, sarebbe scritta una pagina agghiacciante nella storia d'Italia. Il mio sangue ricadrebbe su di voi, sul partito, sul Paese. Pensateci bene cari amici. Siate indipendenti. Non guardate al domani, ma al dopo domani. Pensaci soprattutto tu, Zaccagnini, massimo responsabile. Ricorda in questo momento - dev'essere un motivo pungente di riflessione per te - la tua straordinaria insistenza e quella degli amici che avevi a tal fine incaricato - la tua insistenza per avermi Presidente del Consiglio Nazionale, per avermi partecipe e corresponsabile nella fase nuova che si apriva e che si profilava difficilissima. Ricordi la mia fortissima resistenza soprattutto per le ragioni di famiglia a tutti note. Poi mi piegai, come sempre, alla volontà del Partito. Ed eccomi qui, sul punto di morire, per averti detto di sì ed aver detto di sì alla D.C. Tu hai dunque una responsabilità personalissima. Il tuo sì o il tuo no sono decisivi. Ma sai pure che, se mi togli alla famiglia, l'hai voluto due volte. Questo peso non te lo scrollerai di dosso più. Che Dio ti illumini, caro Zaccagnini, ed illumini gli amici ai quali rivolgo un disperato messaggio. Non pensare ai pochi casi nei quali si è andati avanti diritti, ma ai molti risolti secondo le regole dell'umanità e perciò, pur nella difficoltà della situazione, in modo costruttivo. Se la pietà prevale, il Paese non è finito. Grazie e cordialmente tuo” Aldo Moro