Varese, le Pmi hanno voglia di crescere

Analisi del presidente di Confartigianato Imprese Varese, Davide Galli, in relazione ai dati su occupazione e Pmi in provincia.

Venezia, Livorno e Bolzano guidano. Dietro sono diciotto in tutto le province che nel 2017 hanno raggiunto un tasso di occupazione di almeno mezzo punto superiore (l’oscillazione va dal 4,1 allo 0,5%) al massimo pre-crisi. Varese no, per ora – cifre dell’Ufficio Studi di Confartigianato (elaborazione 9 aprile 2018) – la provincia dei sette laghi non può definirsi fuori dal tunnel, seppure si posizioni ventiquattresima nel ranking delle 93 province esaminate. Ma lo 0,2% in negativo rimane elemento di criticità. Così come restano critici i dati sull’imprenditorialità resi noti da OsserVa (Camera di Commercio di Varese): al marzo 2018, risultano 61.280 le imprese attive, contro le 61.884 dello stesso periodo dell’anno precedente.

LA CONTRAZIONE DELLA MANIFATTURA
E sul fronte produttivo, è la manifattura a perdere – nel medesimo arco temporale – altri 2,3 punti percentuali, performance nettamente inferiori rispetto ai settori commercio, servizi e agricoltura. Meno pesante (-1,24%) anche il dato riferito alle costruzioni, queste ultime però fortemente penalizzate nello storico.

Altri numeri, altre preoccupazioni: Varese, per numero di imprese, si conferma quinta nella classifica regionale (meglio fanno Milano, Brescia, Bergamo e Monza-Brianza) e a fare la parte del leone – al netto delle imprese individuali – sono sempre meno le società di persone e sempre più le società di capitale. «Segno di una sofferenza non ancora superata nel comparto delle Piccole e Medie Imprese, penalizzate dagli ultimi colpi di coda della crisi, dalle difficoltà di accesso al credito e da una congiuntura economica tutt’altro che stabilizzata» sintetizza Davide Galli, presidente di Confartigianato Imprese Varese.

IL RISCHIO DELL’AUMENTO IVA
Che, a ridosso della festività del Primo Maggio – festa del lavoro ma anche ricorrenza di San Giuseppe Artigiano – guarda con preoccupazione allo stallo politico che rischia di innescare la bomba dell’aumento Iva, con conseguente nuovo collasso dei consumi interni, ma anche a un contesto internazionale che lancia segnali ai quali tutti dovrebbero guardare con maggiore impegno e responsabilità.

«Siamo sommersi da giorni dal chiacchiericcio di una politica dei due forni che speravamo superata insieme alla Prima Repubblica mentre il Paese, e il suo sistema economico e sociale, richiedono da tempo un rinnovamento indispensabile per poter entrare a pieno titolo in una dinamica di ripresa – prosegue Galli – A questo si aggiungano i venti di frenata dell’economia che l’America ha già registrato, il protezionismo che rischia di minacciare la crescita, l’inevitabile fine (speriamo non anticipata) del programma di Quantitiative Easing e la frenata di investimenti legati a Industria 4.0, dopo mesi di segni sempre positivi alle voci iper e superammortamento».

UN QUADRO INSTABILE
Questo è il quadro nel quale le Piccole e Medie Imprese artigiane e industriali sono costrette a muoversi in acque tutt’altro che calme, «fronteggiando al contempo la concorrenza internazionale, le spinte innovatrici, processi di riconversione e acquisizione di nuove competenze e l’inserimento di nuove professionalità».

Un doppio fronte che rischia di penalizzare uno sviluppo che, pure, «è nella volontà dell’impresa ed è necessario ai territori» sul quale «ci saremmo aspettati un diverso impegno, soprattutto da parte della politica» prosegue Galli. Che non nasconde, a questo punto, la preoccupazione per il futuro.

«Nei programmi politici il tema del lavoro è spesso soverchiato da altre urgenze, mentre la spesa pubblica rischia di esplodere, i giovani continuano a portare su di sé il peso dell’incertezza del presente e i timori per il futuro e le riforme fiscali necessarie a sostenere la ripresa non sembrano compatibili con i dati rilevati in fase di approvazione tecnica del Def». Nel quale, per l’appunto, l’incognita dell’aumento dell’Iva rimane un macigno pesantissimo, in quanto tale e nella prospettiva di dover reperire i fondi necessari a disinnescarlo nuovamente.

FRONTEGGIARE LA CARENZA DI PROFESSIONALITA’
«Non possiamo, a questo punto, che puntare su tre obiettivi e, su questi, continuare a richiamare tutte le forze in campo: rimodulazione degli incentivi, oggi sperequativi e poco efficaci, aumento dei salari, formazione». Aspetto, quest’ultimo, determinante anche per fronteggiare la carenza di alcune professionalità che – tra gli altri – rappresenta un fattore di frenata per le piccole e medie imprese.

Conferma l’Ufficio Studi di Confartigianato: l’analisi della domanda di lavoro focalizzata sulle 128 figure professionali più richieste dalle imprese artigiane evidenzia che per 19 professioni permane una difficoltà di reperimento più che doppia rispetto alla media del 21,5% rilevata per il totale imprese.

In testa alla classifica – anche alla luce della progressione di Industria 4.0 e delle relative applicazioni in contesti artigianali e di piccole e media impresa – figurano i tecnici programmatori (difficoltà di reperimento del 57,0%), seguiti da tecnici esperti in applicazioni (55,6%), analisti e progettisti di software (55,5%), tecnici meccanici (55,3%), elettrotecnici (54,9%) e ponteggiatori (53,7%).

Seguono le “professioni tecniche della salute” (52,3%), i tecnici della produzione e preparazione alimentare (51,9%), gli attrezzisti di macchine utensili e professioni assimilate (51,4%), sarti e tagliatori artigianali, modellisti e cappellai (51,1%), ingegneri energetici e meccanici (50,8%), tecnici elettronici (50,6%) e operai addetti a macchinari per la filatura e la bobinatura (50,2%).