SARONNO E I COLORI DELLA DISCORDIA

Per non ridurre l’odierna quérelle saronnese relativa all’uso della fascia biancoazzurra ad un puro e semplice testa a testa tra maggioranza e opposizione propongo di seguito alcune succinte indicazioni di natura  storico-culturale, forse utili a inquadrare il problema.
1)      La Padania non esiste e non è mai esistita. Tutt’al più è un’“espressione geografica”, per utilizzare le odiose  parole del Metternich, che può essere utile ad indicare un luogo fisico. Essa è stata per secoli suddivisa in tre aree geopolitiche principali: quella piemontese, quella lombarda e quella veneta. Queste tre aree hanno coltivato reciproci rapporti, ma hanno anche trovato frequenti motivi di dissidio. Ad esempio (scelgo storicamente fior da fiore da una fioriera assai capiente) è noto quanto sia stato odioso per buona parte dei patrioti milanesi (in primis il protoleghista Carlo Cattaneo) l’intervento di Carlo Alberto all’indomani delle Cinque Giornate: solo a cose fatte egli annette la Lombardia al Regno di Sardegna. Quale altro esempio si possono ricordare le guerre di conquista della Repubblica di Venezia contro la Lombardia degli Sforza, quelle guerre per cui chi arriva dall’autostrada vede ancor oggi torreggiare sul capoluogo orobico il leone di San Marco. In ogni caso, Piemonte, Lombardia e Veneto non hanno mai costituito un’unità politica, fin tanto che non sono entrati a far parte del più ampio Stato-Nazione Italia, per il quale cortesemente rimando al punto 4.
 
2)      Gli stessi sistemi economici delle tre regioni hanno avuto sviluppi assai differenti, soprattutto dal ‘900 in poi. L’economia piemontese si costruisce intorno a un’unica grande azienda (inutile specificare quale essa sia) che in breve tempo esercita non solo in Piemonte, ma in tutta la Penisola, un potere politico proporzionale al suo peso economico; la Lombardia  ha un sistema industriale assai più articolato, e insieme sviluppa in modo eminente il settore terziario; il Veneto mantiene a lungo una struttura economica fondata sull’agricoltura, finché, a partire dai primi anni ’80, sviluppa un fitto tessuto di piccole e micro aziende manifatturiere: l’esatto  contrario di quanto aveva preconizzato Karl Marx, e  dimostrando così quanto fosse fallace il barbuto giornalista di Treviri, e quanto boccaloni coloro che aspettavano l’avverarsi delle sue ardite profezie travestite da scienza storica.
 
3)      Peraltro, ognuno sceglie e coltiva i suoi miti. Quello della Padania non è peggiore di altri. Certamente è molto più innocuo, ad esempio, del “mito della razza” in cui credevano, o fingevano di credere, i nazionalsocialisti. A suo modo è un mito fondatore, anche se non è servito a fondare una civiltà (come, poniamo, quello di Romolo e Remo) ma un partito e un’avventura politica. E siccome mito chiama mito, ecco che i leghisti saronnesi identificano le loro origini negli Insubri che popolavano la valle del Po (vedi Preambolo dello Statuto comunale) come se  dall’anno mille a. C. ad oggi da quelle parti non fosse passato e non si fosse stanziato nessun altro. Non manca il mito-corollario dei Druidi, sacerdoti celtici (quindi imparentati con gli insubri) passati alla storia soprattutto perché al culmine dei loro riti si auto-eviravano con selci taglienti, mentre noi latini (di cultura, non di razza) alle nostre gonadi abbiamo sempre tenuto molto.
4)      Venendo allo Stato-Nazione, che in Italia si costituisce in ritardo rispetto a Francia, Spagna e Inghilterra, ma in lieve anticipo rispetto a quello tedesco, è evidente che i leghisti saronnesi (ma anche quelli degli immediati dintorni) nella loro gran parte non lo amano molto. Potessero estirpare il Tricolore – che da noi ne è il simbolo – da ogni recesso della città lo farebbero, ma visto che la legge non glielo consente portano avanti una strategia di sostituzione: sempre più bianco-azzurro, sempre meno bianco-rosse-verde. Da qui i passaggi del Regolamento comunale che hanno suscitato profonde perplessità, da qui la scomparsa del Tricolore in alcune manifestazioni pubbliche e l’apparizione di un’inedita fascia biancoazzurra da tagliare alle inaugurazioni. Personalmente credo che lo Stato-Nazione, nonostante le forti spinte autonomistiche registrate in tutta Europa negli ultimi decenni, conservi un suo significato. Come fattore di identità (non da solo, ma insieme alla religione e alla famiglia) esso costituisce un  giusto punto di mezzo fra un gretto localismo che non riconosce valori al di là della cinta muraria e il globalismo cosmopolita che crea soggetti umani vuoti di contenuti, meri consumatori preda di tutte le suggestioni.
Naturalmente non pretendo di convincere nessuno, solo mi tengo stretto il mio Tricolore, pur avendo posto, in tasca, anche per una coccardina bianco azzurra.