IN MARGINE ALLA FESTIVITÀ DEL 4 NOVEMBRE CELEBRATA QUESTA MATTINA A SARONNO

IN MARGINE ALLA FESTIVITÀ DEL 4 NOVEMBRE  CELEBRATA QUESTA MATTINA A SARONNO
Propongo questa meditata riflessione di per le sue considerazioni di vita oltre che filosofiche.   Questa mattina ho partecipato alle manifestazioni  saronnesi in ricordo del 4 novembre. Ero presente alla cerimonia presso il monumento ai caduti, dove fra l’altro ho ascoltato attentamente il discorso del Sindaco e quello del rappresentante dell’Associazione Alpini, no...

IN MARGINE ALLA FESTIVITÀ DEL 4 NOVEMBRE  CELEBRATA QUESTA MATTINA A SARONNO Propongo questa meditata riflessione di per le sue considerazioni di vita oltre che filosofiche.   Questa mattina ho partecipato alle manifestazioni  saronnesi in ricordo del 4 novembre. Ero presente alla cerimonia presso il monumento ai caduti, dove fra l’altro ho ascoltato attentamente il discorso del Sindaco e quello del rappresentante dell’Associazione Alpini, nonché alla S. Messa celebrata dal prevosto Don Armando, attento alla sua omelia. Quasi tutto quello che ho ascoltato mi è piaciuto (in particolare, devo dire, il collegamento proposto da Don Armando fra la regalità di Cristo di fronte a Pilato e l’autorità che è tale perché si fa carico dei suoi sottoposti). Desidero dunque proporre qualche considerazione a proposito della ricorrenza, non a scopo correttivo e meno che mai polemico, ma quale modesto contributo integrativo.   L’uomo in divisa – sia egli un vigile, sia un tutore dell’ordine e della sicurezza, sia un soldato – non solo non è un assassino, ma è il suo contrario, e lo rimane anche quando, malauguratamente, è costretto a usare le armi. Il militare, infatti, non è colui che non possiede una componente aggressiva, ma colui che, possedendola, riesce a disciplinarla.   E disciplinarla significa inibirla del tutto quando è il caso di farlo (caso del poliziotto che in occasione di disordini di piazza non reagì di fronte a una giovane scalmanata che  lo provocava), utilizzarla in una misura limitata  proporzionatamente alla circostanza, o, in casi estremi e giustificati (grave e immediato pericolo per sé o per altri) in modo pesante e al limite mortale.   Il contrario dell’omicida non è, dunque, il pacifista. Quest’ultimo assume una posizione che è innaturale, perché una componente di aggressività è connaturata con l’uomo ed è dunque, in sé, pienamente legittima. E poiché, in omaggio all’ideologia che ha sposato, reprime dentro di sé questa componente, il pacifista la manifesta con modalità subdole o la indirizza selettivamente nei confronti di alcuni soggetti piuttosto che altri.   A conforto di questa tesi potrei  portare una molteplicità di riferimenti, ma mi limito solo ad alcuni. Cito appena Freud e Lorenz (così dissimili ma così consonanti su questo punto). Posso inoltre ricordare, in modo un po’ più esteso, che il padre Dante punisce nel suo inferno due categorie umane abbastanza affini tra di loro e vicine al nostro pacifista: quella degli ignavi (di cui tutti noi ricordiamo almeno qualcosa) e degli “incapaci di giusta ira”, i quali  sguazzano per l’eternità nella Palude Stigia.   Venendo a qualcosa di più alto, vorrei ricordare Nostro Signore che, entrato in Cafarnao, viene affrontato da un Centurione romano che lo supplica di guarire il proprio servo. Ecco il passo di Matteo: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». Gli disse: «Verrò e lo guarirò». Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa. (…) E Gesù disse al centurione: «Va’, avvenga per te come hai creduto».   Ecco: Gesù non allontana da sé il Centurione ingiungendogli di gettare alle ortiche spada, corazza e schinieri, anzi ha per lui parole di grande apprezzamento: “In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande!”.   Dunque il militare non ha da vergognarsi del proprio mestiere, anzi, della “nobile professione delle armi” come la chiamava San Giovanni Paolo II, il quale era figlio di un ufficiale dell’esercito. Non si deve vergognare del proprio spirito di sacrificio, ma anche del valore e del coraggio che manifesta. Allo stesso modo e per gli stessi motivi, noi non dobbiamo vergognarci del nostro esercito, la cui storia è intessuta di pochi episodi riprovevoli e di tanti onorevoli. Non dobbiamo vergognarci delle sconfitte, quando i soldati si battono fino a quando lo possono. Non delle vittorie, quando sono frutto del valore. A proposito, quella che si ricorda oggi 4 novembre è stata una vittoria.