L’Ingegneria si evolve, Cesare Prevedini
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- 18 agosto 2018
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Vengo sollecitato da più parti a “dire la mia” sul crollo della campata centrale del Ponte del Polcevera. Credo perché sono intervenuto su FB altre volte su casi che riguardano l’Ingegneria strutturale e i grandi ponti, attività cui ho dedicato la mia vita.
Per quel che riguarda la mia posizione di Vice Presidente di AICAP , credo che sia corretto che, se lo ritiene opportuno intervenga l’Associazione con un suo comunicato.
A me certo il problema è chiaro e, se vogliamo, anche noto e confermo che, quella su quel ponte, è pure una vecchia discussione.
Però mi da fastidio questa abitudine nostra di arrivare a conclusioni generale senza avere conoscenze ne della storia ne della problematica..
Posso dire due o tre cose che mi sembrano opportune:
1) L’Ingegneria si evolve e si evolve grazie agli ingegneri che traggono esperienza dagli errori. Per cui quando il grande ingegnere Riccardo Morandi progettò quell’opera agli inizi degli anni ‘60, lo fece con le tecnologie e la cultura tecnica allora disponibili. Per esempio allora i fenomeni di fatica dei materiali non erano così noti e normati come sono ora e non si progettava con i sistemi di calcolo oggi disponibili. Questa è la principale ragione che rende il Polcevera un ponte superato.
2) Si discute di manutenzione, e quel ponte ne ha avuta tanta, e tanta ancora era programmata, o di ricostruzione. Credo che il ponte andasse rifatto trovando nel frattempo il percorso alternativo tanto osteggiato. Non si può ricostruire un ponte soggetto a quel traffico senza nel frattempo trovare un percorso alternativo. In ogni caso sarebbe opportuno che i problemi degli ingegneri li risolvessero gli ingegneri.
3) Inoltre bisogna distinguere fra la grande opera e l’urbanistica: se si permette di costruire sotto un grande ponte la responsabilità del danno all’edificio o alle persone che li abitano, non è di chi ha costruito l’opera, ma di chi ha permesso l’edificazione in quell’area.
4) Bisogna assolutamente che nei cantieri si mantenga la presenza di manodopera tecnica per le operazioni più specialistiche, altrimenti si perde la cultura e il saper fare bene le cose che è un nostro patrimonio storico non sostituibile.
Contrariamente a quello che alcuni impavidi affermano il mondo della nostra ingegneria e delle nostre costruzioni è di un elevato livello qualitativo e internazionalmente affermato.
5) La sicurezza del personale : io come imprenditore ho partecipato quasi sempre solo a grandi opere e in tutto il mondo. Potrei dire che ho sempre saputo che nel fare le cose rischiose c’era il problema della salute degli operatori e fortunatamente non è mai successo che nella mia attività non sia stata preservata. Ci sono state solo fatica e lontananza dalle famiglie. Questi uomini, le loro famiglie hanno sofferto distacchi e lontananze per costruire le grandi opere. Ad essi va riconosciuta rispetto e riconoscenza per il lavoro compiuto.
6) La sicurezza delle persone che utilizzano le opere degli ingegneri. Noi sappiamo che possiamo sbagliare, sappiamo anche che dobbiamo fare di tutto perché ciò non accada. Nelle grandi opere vi assicuro che accade molto poco, anche se la tragedia, quando accade, fa molta impressione.
6) Quello che mi sento di dire forte e chiaro è che le nostre opere costruite tra gli anni sessante , settanta e ottanta, sono opere datate. Da allora sono cambiate le normative ed anche i criteri di accettazione dei materiali: le nostre opere sono stressate e spesso non conformi alle regole attuali, per esempio all’antisismica. Dovremmo rifarne la gran parte, ma se non possiamo permettercelo, dobbiamo assolutamente metterle sotto controllo e realizzare un programma di monitoraggio strutturale massiccio e in grande stile: questo ci permetterà di programmare la manutenzione o la ricostruzione ottimizzando le risorse e salvando vite umane.
E, per favore, chi non sa taccia e non dica che non bisogna fare grandi opere perché di quelle avremo sempre più necessità per migliorare la nostra vita e per crescere come Paese.