L’EREDITA’ CONTESA DI DON GIUSSANI di Lucio Bergamaschi

L’EREDITA’ CONTESA DI DON GIUSSANI di Lucio Bergamaschi   Dodici anni fa moriva a Milano a 83 anni don Luigi Giussani, sacerdote brianzolo fondatore di Comunione e Liberazione. Difficile oggi distinguere l’affiorare tumultuoso dei ricordi dalla fredda analisi del suo pensiero per chi come me ha avuto il privilegio di essergli amico, alunno, penitente, figlio spirituale e perché no ….autista! D’altra parte è imprescindibile valutare l’attualità del suo lascito spirituale alla luce delle f...

L’EREDITA’ CONTESA DI DON GIUSSANI di Lucio Bergamaschi   Dodici anni fa moriva a Milano a 83 anni don Luigi Giussani, sacerdote brianzolo fondatore di Comunione e Liberazione. Difficile oggi distinguere l’affiorare tumultuoso dei ricordi dalla fredda analisi del suo pensiero per chi come me ha avuto il privilegio di essergli amico, alunno, penitente, figlio spirituale e perché no ….autista! D’altra parte è imprescindibile valutare l’attualità del suo lascito spirituale alla luce delle forti polemiche che vedono protagonisti taluni esponenti anche di primo piano del movimento da lui fondato nel 1954. In estrema sintesi – per ogni approfondimento rimando al bel volume di Massimo Borghesi “Conoscenza amorosa ed esperienza del vero. Un itinerario moderno "  (Edizioni di Pagina, Bari, 2015) – c’è chi pensa oggi a Giussani come un roccioso difensore della Tradizione, dei Valori Cristiani, della Purezza della dottrina (le maiuscole non sono casuali) e chi invece lo ritiene un pensatore ed educatore pervaso da una profonda inquietudine e ansia di novità. Una novità non intesa come frutto di un processo dialettico che coinvolga le immutabili verità del credo cristiano ma come esito di un’esperienza, di un’attualizzazione esistenziale del Depositum Fidei. E’ proprio su questo termine – esperienza – che tanto inquietava negli anni ’50 gli arcigni custodi dell’ortodossia pacelliana e che lui acquisì dagli studi sulla teologia protestante americana - che si basa la straordinaria attrattiva umana del suo metodo educativo, un’attrattiva che nel tempo ha coinvolto centinaia di migliaia, forse milioni di persone in tutto il mondo. Posso testimoniare per storia personale che il suo richiamo era sempre volto a destabilizzare le certezze ideologiche, non perché invitasse a ignorare i pur necessari punti di riferimento ma perché il suo sguardo era sempre fisso “più in là”. Giussani in una parola era profondamente consapevole del fatto che la promessa di pienezza che muove l’uomo verso Dio (quel “centuplo quaggiù” di cui parlava spesso) non puo’ risolversi nella mera aderenza a regole dottrinali e che questa vita, questo “movimento” inesauribile è cio’ che rende affascinante e unica la proposta cristiana.   Quanto sia attuale questa duplice visione della figura di don Giussani nell’attuale dibattito all’interno del mondo cattolico (e talora dentro lo stesso movimento di CL) tra “tradizionalisti” e filopapali (o “papolatri” come vengono sprezzantemente definiti dagli avversari) è chiaro. Chi l’ha conosciuto come indegnamente il sottoscritto, non ha dubbi: Giussani non si sarebbe mai schierato con i denigratori di Papa Francesco non solo per ossequio al principio di obbedienza ma per intima convinzione. Se c’era una cosa che combatteva era il conformismo, il farisaismo, l’aggrapparsi alle regole o al passato per giustificare il presente. Tutto per lui era dinamico a partire dal suo vorticoso attivismo, quella sorta di fuoco sacro che lo pervadeva e che sembrava quasi lo tormentasse, per arrivare al pensiero, al giudizio sulle cose e sulle persone che ha avuto nel tempo più di un’oscillazione come l’ampia biografia di Alberto Savorana documenta con dovizia.   Anche sulla concezione della politica e sul rapporto tra chiesa e istituzioni civili Giussani, almeno il Giussani che ho conosciuto io dopo il ’68 fu chiarissimo. CL non doveva diventare un partito, l’attivismo non esauriva il senso dell’esperienza, la presenza era innanzitutto questione di posizione personale. La distanza critica dalla politica lui la inauguro’ all’Equipe di Riccione del ’76. Che poi nella dirigenza del Movimento non tutti avessero compreso (o fecero finta di non comprendere) è possibile, anzi è un dato di fatto.   A dodici anni dalla morte ai tanti che provano a tirare Giussani per la giacchetta arruolandolo d’ufficio nel partito dei bacchettoni dico: lasciamolo riposare in pace nella bella tomba del Monumentale e proviamo a ripartire dalla sua per certi versi spiazzante indicazione: “Il cristianesimo non si realizza mai nella storia come fissità di posizioni da difendere, che si rapportino al nuovo come pura antitesi; il cristianesimo è principio di redenzione che assume il nuovo, salvandolo». Per quanto ne so io lo faremmo molto felice.