Milanello: il centro sportivo varesino, che portò il mondo del calcio alla modernità.

Strano calcio, quello degli anni ’60. O meglio, strano “football”, visto e considerato che, nell’ambiente giornalistico e sportivo dell’epoca, la sudditanza nei confronti degli inglesi, inventori ed esportatori di questo giuoco, era ancora molto intensa. I calciatori, non ancora diciottenni, firmavano da soli il proprio contratto, non essendoci quei procuratori che, troppo spesso, ora esercitano fortissime ingerenze endo-societarie. I compensi erano poco sopra la media di quella che poteva es...

Strano calcio, quello degli anni ’60. O meglio, strano “football”, visto e considerato che, nell’ambiente giornalistico e sportivo dell’epoca, la sudditanza nei confronti degli inglesi, inventori ed esportatori di questo giuoco, era ancora molto intensa. I calciatori, non ancora diciottenni, firmavano da soli il proprio contratto, non essendoci quei procuratori che, troppo spesso, ora esercitano fortissime ingerenze endo-societarie. I compensi erano poco sopra la media di quella che poteva essere la retribuzione di un medico o di un dottore commercialista e costringevano un 40enne neo ritirato a fare scelte patrimoniali avvedute o a reinventarsi in altri ambiti sportivi o imprenditoriali. In pratica, al contrario di oggi, era molto più difficile vivere di rendita. Nessuno aveva ancora intuito a pieno la potenzialità di generare profitti attraverso la visibilità pubblicitaria, che, nel nostro tempo, fa del calcio lo sport globalmente più remunerativo. Ma anche sotto il profilo atletico, le differenze con il presente erano piuttosto evidenti. Numerosi erano i casi di tesserati poco zelanti, che disertavano spesso e volentieri gli allenamenti, con buona pace delle società di appartenenza: dal talentuoso e blasonatissimo Meazza, fino al meno noto Germano ( primo giocatore di colore del nostro campionato), passando per l’inglese Greaves, ricordato per la vita sregolata fuori e dentro al campo e per il fermo rifiuto di presentarsi in ritiro. Proprio per la volontà/necessità di strappare le giovani promesse al vortice della vita mondana milanese, nacque Milanello. In quel di Carnago, comune della provincia di Varese, l’idea dell’allora presidente milanista Andrea Rizzoli si concretizzò nel primo centro sportivo interamente dedicato alla preparazione atletica. Milanello, già ritenuto all’avanguardia al principio della sua realizzazione, diede un deciso giro di vite ad un calcio che, per molti versi, era ancora troppo vicino ad un qualcosa di dilettantistico, piuttosto che ad una vera e propria attività professionale. Nel centro sportivo, durante tutto l’arco settimanale, calciatori e allenatori sperimentavano schemi e perfezionavano moduli offensivi e difensivi, in un ambiente quanto più possibile asettico e lontano dalle distrazioni della grande città. Più o meno coevo a quello interista di Appiano Gentile, il centro sportivo varesino diede il là ad una profonda fase di ripensamento e ammodernamento della figura del calciatore e del mondo calcistico nel suo complesso. Oltre a più campi di gioco, vi si trovano oggi piscine, palestre e un centro medico - Milan Lab – finalizzato ad implementare le prestazioni fisiche, attraverso la predisposizione di terapie personalizzate per il singolo atleta. Tuttavia, nonostante le originarie motivazioni del presidente Rizzoli, Milanello è diventato, nel corso dei decenni, un ulteriore modo di vivere la propria passione sportiva. Le recinzioni che delimitano i suoi 160 mila metri quadrati, si dimostrarono fin da subito insufficienti a garantire l’isolamento e ad arginare l’amore dei tanti tifosi che, durante le sessioni del calcio mercato e non solo, si accalcavano - e si accalcano tutt’ora - lungo il suo perimetro, per ottenere la bramata foto o l’agognato autografo dei loro beniamini, tanto da costringere gli allenatori, nei momenti più delicati della stagione, a svolgere allenamenti “a porte chiuse”. Ogni notte, i bambini di fede rossonera, prima di addormentarsi, sognano di calciare il rigore decisivo sul prato verde di San Siro. Diventati adolescenti, i più talentuosi tra questi, hanno la possibilità di varcare le porte di Milanello come Rivera, Shevchenko, Ronaldinho e Kakà prima di loro e non possono che sentirsi parte della gloriosa storia milanista, realizzando che, mai come in quel momento, il loro sogno è a portata di piede. Giulio Maria Grisotto