Il gioco dell’oca

Il gioco dell’oca Alla direzione nazionale del PD di ieri a Roma, Matteo Renzi ha tenuto una relazione di basso profilo, espressiva della povertà culturale di un partito senza più identità che ritorna, come nel gioco dell’oca, al punto in cui il renzismo era nato. Fu con il patto del Nazareno in tasca che Matteo Renzi potè pronunciare il suo velenoso “stai sereno”, con cui pose fine al governo di Enrico Letta. Un patto grazie al quale “il giovin signore fiorentino” fu in grado di assicurare a...

Il gioco dell’oca Alla direzione nazionale del PD di ieri a Roma, Matteo Renzi ha tenuto una relazione di basso profilo, espressiva della povertà culturale di un partito senza più identità che ritorna, come nel gioco dell’oca, al punto in cui il renzismo era nato. Fu con il patto del Nazareno in tasca che Matteo Renzi potè pronunciare il suo velenoso “stai sereno”, con cui pose fine al governo di Enrico Letta. Un patto grazie al quale “il giovin signore fiorentino” fu in grado di assicurare a Napolitano l’approvazione delle riforme istituzionali, agognate non solo dal Presidente della Repubblica, ma dagli autorevoli esponenti delle lobbies finanziarie internazionali. Purtroppo, con il senno del poi per Renzi, quel patto fu rotto con l’elezione non concordata e in opposizione al Cavaliere di Mattarella, in spregio alle intese pattuite. Da quel momento tutto diventò più precario, nonostante il ruolo servente assicurato a Renzi al Senato dai manipoli dei transumanti d’aula guidati da Verdini e Alfano. La rottura con il Cavaliere, insieme alla disillusione diffusa tra gli italiani, sono state tra le ragioni non secondarie della bruciante sconfitta nel referendum del 4 dicembre, causa delle dimissioni di Renzi dalla guida del governo. La scelta del SI ha creato fratture profonde non solo tra gli elettori del PD, divisi tra le indicazioni di un partito che rompeva i suoi tradizionali legami sociali e politico culturali della sinistra (ANPI, vasti settori della CGIL, intellettuali di area), ma anche all’interno del partito, con e tra gli stessi gruppi già saliti sul carro del leader toscano. Renzi si impose nel PD sull’onda del “nuovismo” espresso alla prima Leopolda, tutto declinato sul versante della “rottamazione”; in un quadro politico garantito da una legge elettorale maggioritaria , il porcellum, che permetteva, secondo la logica del vecchio schema bipolare, l’idea di un vincitore che prende tutto, sino al rischio del potere di “ un uomo solo al comando”. Nasceva da questo schema la proposta di una legge elettorale super truffa, come quella dell’Italicum, bocciata, prima, dall’esito disastroso per Renzi del referendum e, infine, dalla sentenza inappellabile della Consulta. Fosse rimasto il patto del Nazareno, probabilmente, Renzi l’avrebbe sfangata, sia con il referendum, che con una legge elettorale a sua immagine, mentre invece, nella nuova realtà del tripolarismo con tutte e tre le gambe in fibrillazione, egli deve prendere atto della nuova situazione. Una situazione che non potrà che partorire un sistema elettorale proporzionale, espressivo della nuova e più complessa realtà politica italiana. Rispetto a questa nuova realtà effettuale appare del tutto inadeguata e contraddittoria la relazione di ieri di Renzi nella direzione del PD. Un PD che non è più un partito di sinistra, anche se Renzi lo descrive come il più importante partito della sinistra europea, nel momento in cui, con il referendum e alcune delle politiche adottate dal suo governo, Renzi ha rappresentato gli interessi dei poteri forti e non certo “ le esigenze della povera gente”, che furono quelle del compianto Giorgio La Pira, spesso, anche se talvolta impropriamente, evocato dal giovane politico fiorentino. Lapidaria e definitiva al riguardo la definizione del governatore della Puglia, Emiliano, sul PD, che sarebbe diventato: “ il partito dei banchieri e dei finanzieri, dell’establishment. Un partito interessato solo ai potenti e non al popolo”. Quando ieri nella sua relazione Matteo Renzi ha sostenuto che: “ Il nemico, sono trumpismo e grillismo, non chi è in questa stanza", appare evidente che la sua linea appare molto più simile a quella di Macron in Francia e, di fatto, al di là delle questioni tattiche sulla data del congresso e sulla durata del governo Gentiloni, questa linea apre la strada, come annunciato da Bersani, Cuperlo e Speranza a un’assai probabile scissione a sinistra del PD. Quando poi Renzi, con riferimento velenoso a Massimo D'Alema ha affermato: "chiediamo il congresso perché io non sono il custode di caminetti. E non mi piace galleggiare sulle correnti di partito. Se volete quello, votatelo", appare evidente che non ha ancora compreso come, stante la “realtà effettuale” egli sarà costretto a ricorrere ai caminetti dentro e fuori il suo partito. Con il sistema proporzionale che verrà sarà inevitabile, non solo trovare modalità di conduzione interne diverse da quelle sin qui svolte, ma ricorrere alle necessarie mediazioni con le altre forze politiche con cui si dovranno fare i conti per garantirsi i giusti equilibri di governo. L’assenza del voto di ieri del ministro Orlando, il silenzio di Franceschini e l’anodino intervento di Martina, sono i segnali di qualcosa che si sta muovendo già dentro la stessa maggioranza renziana. La linea politica ancora confusa che, tuttavia, sembra emergere dalla relazione di ieri, appare quella di un ritorno al punto di partenza, come nel gioco dell’oca; ossia la ricerca di un accordo con il partito del Cavaliere, in funzione anti Lega e anti M5S. Una strategia che può già contare sull’appoggio del direttore de “ Il Foglio”, ma che potrebbe anche condurre ciò che resterà del PD, dopo il congresso, a una condizione di isolamento politico a destra come a sinistra, dopo quanto si è saputo consumare sul piano sociale, culturale e della credibilità di un’intera rinnovata classe dirigente. Ettore Bonalberti www.alefpopolaritaliani.it www.insiemeweb.net www.don-chisciotte.net Venezia,14 Febbraio 2017