Riflessione per un lavoro in comune

Riflessioni per un lavoro in comune Il contributo al dibattito di Ettore Bonalberti-Presidente ALEF (Associazione dei Liberi e Forti-www.alefpopolaritaliani.eu)   Non abbiamo lo sguardo rivolto al passato e non prevale in noi il sentimento regressivo della nostalgia. Abbiamo lucida coscienza della condizione in cui vive l’uomo oggi nella società occidentale, nella quale assistiamo a una dominante concezione relativistica in cui i desideri individuali si vogliono trasformare in diritti, contro ogni evidenza antropologica e concezione giusnaturalistica.   A livello esistenziale e socio culturale prevale una condizione di anomia: assenza di norme e regole, discrepanza tra mezzi e fini, venir meno dei gruppi sociali intermedi. Di qui, una condizione di frustrazione prevalente con possibili sbocchi nella regressione solipsistica o nell’aggressività  individuale e collettiva latenti.   Anomia  anche a livello internazionale: visione cinese, visione islamica, visione occidentale e visione russa: quali compatibilità e secondo quali regole?   A livello più generale economico trionfa il “turbocapitalismo” con la finanza che detta i fini e la politica che segue quale intendente di complemento, con un rovesciamento generale di funzioni e di prospettive.   Con l’avvento della globalizzazione il principio del NOMA (Non Overlapping MAgisteria)  viene di fatto applicato in termini rovesciati: alla finanza e all’economia è assegnato il compito di decidere i fini e alla politica quello di scegliere i mezzi . Da questo rovesciamento che assegna il primato finalistico all’economia, deriva la stessa scelta di Bill Clinton, pressato dalle sette sorelle (JP Morgan,Morgan Stanly e C.) detentrici del potere finanziario di superare la legge Glass Steagall del 1933 che seppe garantire equilibrio e sviluppo al mercato americano. Il superamento dell’obbligo di separazione tra attività di speculazione finanziaria e attività bancarie tradizionali, deciso dal congresso americano e promulgata il 12 novembre 1999 da Bill Clinton, diede il via libera ai fenomeni di speculazione finanziaria del mercato dei derivati e dei futures che sono stati alla base della grave crisi finanziaria in cui tuttora ci dibattiamo dal 2007.   Se prima era la politica a indicare gli obiettivi e l’economia e la finanza a proporre le soluzioni tecniche per raggiungerli, oggi è il finanz-capitalismo che asserve la politica e la rende subordinata. L’efficienza come fine esclusivo si riduce alla massimizzazione del profitto indipendentemente da ogni altro valore sociale e individuale.   Il bene comune non è più il fine della politica, subordinata ad altri valori dominanti che pretendono una quota rilevante del cosiddetto “scarto sociale” (tra il 20 e il 30% della popolazione)   È in questa situazione di valori rovesciati e/o di disvalori che è riesploso a livello internazionale il grave scontro tra il fanatismo jihadista del movimento fondamentalista islamico e le altre culture religiose monoteiste, ebraismo e cristianesimo, che ha sostituito quello del XIX e XX secolo tra capitale e lavoro, tra capitalismo e marxismo. Quest’ultimo, anche là dove ancora sopravvive, si è trasformato in un ibrido capitalismo comunista e a livello mondiale assistiamo al confronto/scontro tra democrazie di stampo liberale e democrazie autoritarie (Cina, Russia, Singapore, Turchia, Cuba e in molte regione ex URSS divenute indipendenti).   È la stessa concezione sociale difesa dalla dottrina sociale della Chiesa ad essere sotto attacco. In tal senso non possiamo non denunciare come l’attuale governo Renzi stia mettendo in disparte le comunità intermedie, fino al disprezzo, dimostrato in questi giorni, per le associazioni sindacali. Di qui al sostanziale disconoscimento anche del valore del lavoro, il passo è breve. Il nostro sguardo è allora fisso in avanti, supportati dalla lettura critica più avanzata di questi fenomeni da parte, ancora una volta, della dottrina sociale della Chiesa: Centesimus Annus  di Papa Giovanni Paolo II, Caritas in veritate  di Papa Benedetto XVI, Evangelii Gaudium  di Papa Francesco, che sono le stelle polari che ci inducono ad assumere una nuova responsabilità, come cattolici e laici cristianamente ispirati. Di qui il nostro tentativo di tradurre nella città dell’uomo quegli orientamenti pastorali. Nella situazione concreta italiana, sentiamo come prioritario il dovere di concorrere a ricomporre, dopo la lunga stagione della diaspora, l’area di ispirazione popolare per offrire al Paese una nuova speranza. E lo vogliamo fare non da cattolici impegnati in politica, ma da cattolici e laici impegnati per una politica di ispirazione cristiana.   La teoria dei quattro stati   Ho adottato la teoria dei quattro Stati che, seppur semplicisticamente, rappresenta in maniera significativa la situazione sociale dell’Italia.   Il primo Stato, quello della casta, è formato da quasi un milione di persone che vivono attorno alla politica e alle istituzioni, con laute prebende e benefits diversi. E’ l’aristocrazia dell’ancien regime trasferita nel XXI secolo.   Il secondo Stato è quello dei diversamente tutelati, che contiene l’intervallo compreso tra le alte gerarchie pubbliche ( magistratura, alta dirigenza burocratica dello Stato e degli enti pubblici statali, parastatali e degli enti locali) sino all’ultimo gradino della scala rappresentato dai cassaintegrati e disoccupati con indennità e a quello dei senza tutela, come gli esodati e i disoccupati senza indennità.   Il terzo stato è quello che produce la parte prevalente del PIL: PMI con i loro dirigenti e dipendenti, agricoltori, commercianti, artigiani, liberi professionisti. La struttura portante dell’intero sistema.   Con le nuove norme comunitarie si scopre l’esistenza del quarto Stato, un settore che potremmo qualificare come l’extra o l’anti Stato, rappresentato dal lavoro nero, droga, prostituzione, contrabbando.   Trattasi di un settore il cui valore dell’attività economica è stimato in circa 200 miliardi di euro che, in base alle nuove norme europee, buon per Renzi e Padoan, farebbe calare il rapporto deficit/PIL dello 0,2 %, passando dal 3,7 al 3,5% sui conti del 2011.   Un settore fuori da ogni regola,  che preleva  ricchezza dal sistema e in larga parte la rimette in circolo sotto forma di consumi, risparmi e investimenti diversi, sottraendosi a ogni controllo e incidendo, comunque, in maniera significativa sul sistema stesso e non solo sul piano economico e sociale.   Solo su quello economico incide per oltre il 14% sul PIL italiano che, nel 2013, è stato calcolato in circa 1393 miliardi di euro, per non parlare delle sue nefaste incidenze anche sul piano politico e dei condizionamenti nelle istituzioni……   Va evidenziato che la spesa pubblica, comprensiva dei costi del primo e del secondo stato supera il 50% del PIL prodotto dal terzo stato.   Il terzo stato, l’unico producente effettiva ricchezza, dalla quale deriva il differente sostentamento di tutte le altre classi, sta vivendo una crisi senza speranza; una crisi che sta producendo calo del PIL, chiusure continue di attività produttive, licenziamenti, delocalizzazioni ed episodi sempre più diffusi di drammatici suicidi di piccoli e medi imprenditori.   Quando questo terzo stato non fosse più in condizione di far fronte ai propri e dovuti adempimenti fiscali (IVA.IRPEF, oltre alla miriade di tasse e imposte generali e locali che, complessivamente hanno largamente superato il 50 % dei redditi prodotti), basterebbe un calo delle entrate nelle casse dello Stato in uno dei trimestri di scadenza dell’IVA, per far saltare il sistema.   Si corre, infine, il rischio di una saldatura oggettiva di interessi tra il terzo e il quarto stato con la formazione di una miscela esplosiva  alla quale c’è solo un modo per evitare la rivolta sociale:
  1. cambiare la rotta della politica economica, che è stata sottratta all’autonoma competenza dello Stato da illegittimi e nulli regolamenti comunitari, con la riduzione della pressione fiscale e il taglio drastico della spesa pubblica e la messa in vendita del patrimonio pubblico disponibile;
  2. ricostruire la politica complessiva economica, finanziaria e monetaria dell’Europa a partire dall’attribuzione alla BCE del compito di prestatore di ultima istanza e stampatore di moneta, lo voglia oppure no frau Merkel, pena la fine assai più traumatica della stessa Unione Europea.
  Finite le grandi culture del dopoguerra che avevano saputo saldare gli interessi della classe media con quelli delle classi popolari, merito storico più alto della Democrazia Cristiana, del PCI, PSI, e dei partiti di ispirazione laico-liberale e dello stesso MSI almirantiano, ci ritroviamo in  una situazione di totale anomia, forte disorientamento e diffusa frustrazione individuale e collettiva.   Il problema politico del nostro Paese è costituito dalla necessità di ridare rappresentanza politica ai ceti medi e popolari produttivi, mentre attualmente l’Italia sembra dividersi sulla nuova falsa contrapposizione tra renziani e anti renziani, in una fase storico politica in cui trionfa il trasformismo più eclatante a livello parlamentare e l’abbandono e il rifiuto della politica ( oltre il 50% di astensioni elettorali) tra i cittadini.   “ Un Paese smarrito e la speranza di un Popolo”: è questo il titolo dell’Appello politico agli italiani che l’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuân, ha editato con Cantagalli, dal quale, io credo, bisognerà ripartire se, come andiamo inseguendo da molto tempo, vogliamo tentare di ricostruire, attraverso un nuovo incontro di tutti i popolari e democratico cristiani italiani, un nuovo soggetto politico laico, democratico,  popolare, riformista ,europeista, transnazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano.   Un  soggetto impegnato a tradurre nella “città dell’uomo” gli orientamenti pastorali della dottrina sociale della Chiesa cattolica, efficacemente sintetizzati nelle undici proposte dell’Appello di cui sopra. Un soggetto politico, inoltre, che, libero di scegliere le più opportune alleanze di governo in funzione della situazione politica e sociale del Paese, sarà e dovrà essere alternativo al “renzismo” e al “berlusconismo”, categorie difficilmente riconducibili alla nostra cultura di riferimento nazionale e internazionale.   Anche noi dell’associazione ALEF (Associazione dei Liberi e Forti-www.alefpopolaritaliani.eu) non  intendiamo rinchiuderci in noi stessi, o, a ridurci a una pur apprezzabile funzione maieutica di formazione, arrestandoci sulla soglia di un impegno pre-politico; siamo invece interessati a concorrere a realizzare  quanto emerso dal serio confronto avviato con il contestato XIX Congresso nazionale DC del Novembre 2012 e  quanto abbiamo saputo redigere con i documenti  finali della tre giorni all’abbazia primaziale di Sant’Anselmo nel Gennaio 2014, del codice etico e delle indicazioni per il patto federativo dei popolari.   Siamo ripartiti da quelle indicazioni e il 3 novembre 2014 con altri amici di altre associazioni, gruppi e movimenti abbiamo dato vita alla Federazione dei Popolari Italiani. Certo viviamo ancora molte contraddizioni e sperimentiamo quotidianamente limiti di varia natura a diversi livelli.   Costatate le difficoltà  tuttora esistenti di mettere insieme il vasto e ancora troppo disarticolato insieme di iniziative avviate in sede nazionale e romana ( anche tra di noi è scattata la sindrome del pro e contro Renzi) abbiamo ritenuto più opportuno operare sui due livelli: a livello nazionale, interessati a cogliere quanto di positivo sta emergendo nella vasta galassia del mondo cattolico e laico cristianamente ispirato e a livello regionale, attraverso l’avvio delle costituenti dei popolari. Sono nate così le costituenti dei Popolari nel Veneto (settembre 2014), dell’Umbria, Toscana, Emilia e Romagna, Liguria e il prossimo 20 Marzo tenteremo di avviare la costituente dei Popolari lombardi.   Elementi concreti per un confronto aperto e senza pregiudizi:   Con l’avvio delle costituenti regionali dei popolari, strumenti aperti, inclusivi e di ampia partecipazione democratica, si darà  sostanza e forza alla Federazione dei Popolari Italiani che dovrà raccogliere le migliori energie popolari esistenti nel Paese e procedere a:
  • organizzare la “Nuova Camaldoli” dei Popolari italiani: una grande assemblea politico programmatica attraverso  cui redigere  il Manifesto dei Popolari per l’Italia. La sede potrebbe essere la stessa Camaldoli, Assisi o una Trento 2.0, la città di De Gasperi.
  • dar vita al nuovo soggetto politico laico, democratico, popolare, liberale, riformista, europeista, trans nazionale, ispirato ai valori dell’umanesimo cristiano, inserito a pieno titolo nel Partito Popolare Europeo, da riportare ai principi ispiratori dei padri fondatori Adenauer-De Gasperi – Schuman;
  • offrire finalmente al terzo stato dei ceti produttivi e popolari italiani lo strumento politico di rappresentanza di cui oggi è totalmente orfano, ragione decisiva dell’astensionismo elettorale e del rifiuto di una politica ridotta al trasformismo dilagante, privo di ogni riferimento all’etica, dentro e fuori il parlamento e nelle altre sedi politico istituzionali.
Guardiamo con molta attenzione a ciò che si sta muovendo al di fuori di noi e sulla base delle premesse di cui sopra siamo interessati a convergere con quanti intendono impegnarsi per politiche ispirate dal principio di sussidiarietà da declinare nel welfare, nell’economia e nelle stesse istituzioni, chiamando a raccolta tutti i partiti, gruppi, associazioni, movimenti, uomini e donne che intendono offrire, con una rinnovata proposta politica popolare, una speranza all’Italia.   Ettore Bonalberti Venezia, 17 Marzo 2015