Secondo Lara Comi non è l'Europa che chiede il pagamento dei bio-sacchetti

Secondo Lara Comi non è l'Europa che chiede il pagamento dei bio-sacchetti, Vincolante per tutti gli Stati è l’obiettivo della riduzione dell’inquinamento. posta su Linkedin una precisazione sui “sacchetti della frutta” che in questi primi giorni dell’anno hanno fatto discutere dopo la decisione del governo di obbligare i commercianti ad indicarne separatamente il prezzo, uno ad uno, sugli scontrini. [caption id="attachment_61645" align="alignleft" width="445"] il post di La...

Secondo Lara Comi non è l'Europa che chiede il pagamento dei bio-sacchetti, Vincolante per tutti gli Stati è l’obiettivo della riduzione dell’inquinamento.

posta su Linkedin una precisazione sui “sacchetti della frutta” che in questi primi giorni dell’anno hanno fatto discutere dopo la decisione del governo di obbligare i commercianti ad indicarne separatamente il prezzo, uno ad uno, sugli scontrini. [caption id="attachment_61645" align="alignleft" width="445"] il post di Lara Comi[/caption] La Direttiva europea 2015/720 NON impone regole sui sacchetti ultraleggeri,:«Gli Stati membri possono scegliere di esonerare le borse di plastica con uno spessore inferiore a 15 micron («borse di plastica in materiale ultraleggero») fornite come imballaggio primario per prodotti alimentari sfusi». Non è L’UE, quindi, che chiede il pagamento, ma una decisione autonoma dell’Italia. Vincolante per tutti gli Stati è l’obiettivo (riduzione dell’inquinamento da sacchetti) Discrezionale per ogni Stato è la scelta dei mezzi per raggiungere l’obiettivo. La nuova legge, approvata in agosto ed entrata in vigore il 1° di gennaio scorso prevede che i sacchetti di plastica ultraleggera, con spessore della singola parete inferiore a 15 micron (0,015 millimetri) utilizzati nei supermercati per imbustare frutta, verdura o altri alimenti freschi sfusi, devono essere biodegradabili, compostabili e certificati, con un contenuto minimo di materia prima rinnovabile non inferiore al 40% e impone anche di indicarne esplicitamente il prezzo sullo scontrino (da 1 a 3 centesimi) mentre in precedenza non doveva non era necessario. Nei prossimi anni la percentuale minima di materia prima rinnovabile nelle buste dovrà salire al 50% (nel 2020) e poi al 60% (2021). Si tende a confondere bioplastiche e plastiche biodegradabili che non sono la stessa cosa perché un prodotto a base bio (bio-based) come la bioplastica è interamente o parzialmente ricavato da biomassa, un materiale di origine biologica - come la carta o il legno - e non include componenti di origine fossile (come carbone o petrolio) mentre per biodegradabile si intende invece un materiale che possa essere degradato da batteri o funghi in acqua, in aria o gas naturale o in biomassa.   Una bioplastica può essere biodegradabile, ma può anche non esserlo e anche un polimero ottenuto da combustibili fossili può essere biodegradabile, ma in genere i più usati e diffusi non lo sono. La biodegradabilità è legata alle condizioni ambientali in cui il rifiuto è lasciato, al tempo in cui vi rimane, alla temperatura in cui si troverà e alla presenza di ossigeno o di microrganismi che lo possano digerire. La nuova legge parla di contenuto di materia prima rinnovabile non inferiore al 40%: per rinnovabile si intende una risorsa che la natura riesce a sostituire in un arco di tempo paragonabile a una vita umana, a differenza delle fonti fossili che si riformano in milioni di anni - e che per questo sono in esaurimento. Quindi non è detto che le bioplastiche siano tutte, per forza rinnovabili: quelle ricavate dalla torba per esempio, non lo sono. Le buste devono anche essere compostabili e per la nuova legge non basta la dicitura biodegradabile se non accompagnata da indicazioni sui tempi e sulle condizioni che rendono possibile la degradazione del rifiuto e le condizioni ottimali per il compostaggio industriale richiedono una temperatura di 55-60 °C, un'alta percentuale di umidità e la presenza di ossigeno. Milano 29 gennaio 2018 Fabrizio Sbardella